Lettera aperta alla città: A Scampia non si muove una foglia
Da settembre siamo tornati a Scampia in piazza Giovanni Paolo II con il laboratorio scuola e altre attività di presidio territoriale. Abbiamo fin qui condiviso le tante cose belle che ci è stato dato di fare e alle quali continueremo a destinare tutte le nostre energie.
A questo punto però ci sentiamo in dovere di condividere anche il più generale quadro politico che con più nitidezza va definendosi ai nostri occhi.
Dall’enorme piazza il mondo di fuori sembra un reduce. È come stare in una delle narrazioni iperrealiste del dopoguerra siciliano, tanto per i bambini e i genitori che incontriamo, quanto per la capacità che la società ha, a partire dalle sue istituzioni, di affrontare un quadro tanto desolante.
In ciascuno degli ambiti dove in questi venti anni ci siamo trovati a operare non possiamo che registrare una forte regressione. A partire dallo spazio pubblico e dal suo verde, da quello della piazza e delle aiuole nelle adiacenze del Centro territoriale Mammut da sempre in stato di abbandono. La mancanza di giardinieri e un assurdo gioco di competenze secondo cui non ci sarebbe nessuno deputato a pulire gli spazi verdi dalle immondizie, sono l’ostacolo che da quindici anni le istituzioni hanno dichiarato rendere impossibile la risoluzione del problema. Se fino a qualche tempo fa qualcuno dal Comune riusciva ad assicurare una sporadica pulizia, oggi questo sembra essere diventato del tutto impossibile. A quanto pare i giardinieri comunali sarebbero quasi del tutto scomparsi dall’organico a Scampia e la situazione Asìa (Azienda servizi di igiene ambientale) si sarebbe aggravata per le assenze da Covid. Il problema ci dicono essere dell’intera città, anche se noi continuiamo a chiederci perché nella piazza più grande di questo quartiere le cose vadano così, mentre altrove cura e pulizia sono quotidiane. Qualcosa sembra proprio continuare ad andare in modo perverso nella distribuzione delle risorse, e non solo quando sentiamo statistiche sulla forbice ricchi/poveri sempre più larga.
I pochissimi anni (forse mesi) in cui il verde e lo spazio pubblico di Scampia venivano sufficientemente curati sembrano essere un miraggio lontano. Il fatto di avere una delle risorse ambientali più importanti della città, rimane solo un peso per le istituzioni, che sembrano più che mai in difficoltà anche con la più semplice delle manutenzioni.
Rimane del tutto sottoutilizzata anche la Villa comunale di Scampia, dove a essere aperto è solo uno dei cancelli e lontana la possibilità dell’apertura sulla piazza, rendendo di fatto questo spazio molto difficilmente utilizzabile al quartiere e al resto della città. È di questi giorni la notizia che starebbe finalmente iniziando il progetto di riqualificazione della Villa, e noi ce lo auguriamo vivamente. Ma al momento la desolazione, anche in questo ambito, è totale.
Desolante è anche il quadro per il resto delle decine di progettualità sulla piazza suggerite dagli studi e delle co-progettazioni con urbanisti e cittadini di ogni età proposte in quindici anni. Non una delle panchine proposte, non una delle strutture ludiche e sportive, non una fontanella… assolutamente niente. Solo buone intenzioni, grandi progetti e l’immondizia che aumenta sempre più, tanto che se non provvedono gli operatori del Mammut a spazzare, i bambini e i loro genitori hanno difficoltà a entrare per fare il laboratorio scuola.
La piazza sarebbe del tutto abbandonata a sé stessa se non ci fosse il nostro presidio che, ricordiamo, è del tutto autofinanziato e autogestito e al quale sembra essere venuta a mancare ogni possibilità di un’interlocuzione con le istituzioni cittadine e regionali. Solo la Municipalità ha espresso più volte comprensione e vicinanza, pur senza mezzi e poteri.
I campi rom si confermano “ghetto immobile” quello che con prosopopea venne definito il “Il primo villaggio della solidarietà della Campania” nel 2000; e peggio ancora se la passano gli altri campi non autorizzati, ormai divenuti discarica abusiva per i tanti cittadini (non rom) che da Napoli e provincia quotidianamente vengono a sversare rifiuti. Gallina d’oro per le ditte che si occupano di rifiuti speciali, i campi rom rimangono una delle più grandi vergogne della nostra città, che tra le poche cose buone conserva quella di non essere intervenuta per sgomberi o operazioni di polizia; tratto distintivo che ci auguriamo la nuova giunta comunale abbia il buon senso di non abbandonare, né di ricorrere agli antichi progetti di megacampi (come l’obbrobrio già realizzato o gli altri che, precedentemente in cantiere, per fortuna si è poi deciso di accantonare.
Non se la passano meglio le scuole, dove l’emergenza Covid ha accentuato molte delle caratteristiche negative già presenti, come in ogni altra scuola d’Italia. Presidi e insegnanti sembrano esser stati fagocitati nei meandri delle burocrazie, dove alle tante richieste ministeriali si sono aggiunti i complicatissimi protocolli Covid con quarantene, Dad, Did e affini da gestire. Ultima istituzione credibile rimasta sul territorio, sulle scuole si starebbe riversando l’intera mole di frustrazioni della cittadinanza. Scenario complicato dal fatto che a Scampia il tasso di vaccinati è molto basso, mentre alto è quello di contagi e paure legate al virus, con scene di isterie e iper aggressività annesse. Molte delle piccole conquiste fatte negli anni precedenti sembrano andare perdendosi, e la scuola a Scampia sembra stia perdendo l’occasione di fare di necessità virtù. Non ci era mai capitato di avere tanti bambini che frequentano il Mammut con assiduità e passione e che invece non vanno a scuola. Molto spesso perché le mamme dicono di aver paura del Covid, paura che nasconde motivi ben diversi e più antichi, da sempre alla base dell’abbandono scolastico.
Tante le mamme sole, con padri andati via o in galera. Mamme che non hanno scelto di diventarlo e che di figli ne hanno anche cinque, in difficoltà a svolgere questo ruolo, spesso difficilmente conciliabile con quello di giovane donna. Scenari dove lavoro, cure mediche, servizi di supporto psicologico e altre possibilità minime che altrove sono scontate, a Scampia sembrano un miraggio lontano. Fatte le dovute eccezioni, come il Centro di salute mentale, un’eccellenza, del territorio cheperò non può farsi carico dell’enorme mole di lavoro incombente.
In questa situazione lo Stato sembra una madre negligente. Istituzioni che partorirono (e continuano a partorire) mega opere immaginifiche, di cui però non riescono a prendersi cura nella quotidianità, e finiscono perciò per lasciarle a sé stesse o a diventarne persecutori quando disturbano: abbandono nella quotidianità che si trasforma in inglobamento nelle istituzioni totali come nel carcere (o nella scuola che troppo spesso lo diventa). Nel territorio come nelle storie familiari, Scampia è ancora una volta esempio negativo di una più diffusa caratteristica genitoriale di questo tempo: narcisismo, abbandono e ipercura tutte insieme.
Del resto il simbolo di Scampia, le Vele e i grandi proclami di rinascita sono ancora là, e ogni tanto qualche giornale se ne accorge (Fanpage ultimamente).
Restano come unici segni di vita i tanti cittadini e i gruppi (associazioni e parrocchie comprese) che con fatica e coraggio continuano a animare quel poco di “pubblico” che rimane. Vedendo il proprio spazio sempre più “corroso” dal mercato, che con il suo enorme tritacarne, anche a Scampia, tenta di trasformare decenni di storia cooperativa e solidarietà dal basso in pirotecnici progetti da vetrina da spendere per bandi e marketing urbano. Tutti noi ci auguriamo di non venirne stritolati.
Anche per questo ci siamo sentiti in dovere di condividere quello che abbiamo visto in questi mesi di ritorno a Scampia, consapevoli di quanto il ben fare e il ben volere possano esistere solo accanto all’indispensabile dovere di denunciare quello che non va.
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