RACCONTARE IL MONDO
Il problema non è il cosa vogliamo raccontare del mondo ma il come e il da dove.
Il come sono i nostri strumenti, arnesi e mestieri, ai quali ci possiamo formare: un po’ vengono da inclinazioni, talenti e scelte, un po’ sono acquisiti, un po’ sono antropologici, derivano cioè da culture, linguaggi e immaginari a cui apparteniamo e che ci appartengono. Che sia il reportage giornalistico, l’inchiesta sociale, il fumetto, la letteratura, il cinema, il documentario, la fotografia, la musica, alla base c’è sempre il metodo dell’osservare, dello stare in ascolto, del raccogliere le voci e i gesti, del dialogare, del discutere, del fare spazio ai pensieri degli altri, articolati nella lingua in cui si dicono, del fare attenzione alle concatenazioni con ciò che non è detto, del riconnettere con ciò che è nella storia di lunga durata o nella genealogia dei fatti e delle cose.
Il da dove raccontiamo il mondo condiziona il cosa del mondo raccontiamo.
Nei racconti che abbiamo raccolto il da dove è sempre una inquietudine: il disagio verso le rappresentazioni dominanti dell’altro, verso le etichette che amputano le persone e le loro vite (Velania A. Mesay e Tomi Mellina Bareš); le immagini oniriche in cui le esperienze – personali, collettive, universali – si mescolano in modi imprevedibili e formulano una grammatica che procede per ispirazioni, corrispondenze surrealiste, documentazione storica dei fatti (David B.); un disagio verso il trionfalismo dei vincenti, il linguaggio che si fa propaganda, la realtà quotidiana che si rivolta alla narrazione (Giuliano Battiston); l’indignazione nei confronti di un presente che rinuncia a confrontarsi con il passato e anzi, scandalosamente, lo dissacra, lo riduce a merce (nella lettura del cinema di Alice Rohrwacher proposta da Rodolfo Sacchettini).
Per raccontare questo contro-mondo sommerso che ribolle bisogna immergersi, stare nelle strade, captare frammenti di discorsi di bocche cucite o cercare le voci silenziate.
E poi, come mostra Emanuele Dattilo, c’è il frastuono che bisogna eliminare per poter ascoltare, le narrazioni del mondo che bisogna rigettare perchè sono simulacri che diventano presto idoli, dottrine, costrutti lapalissiani, che si impongono attraverso tutti quegli strumenti con cui il mondo non è raccontato, ma plasmato.
Abbiamo mescolato le carte, su questa urgenza torneremo.