Privati cittadini: la diseducazione civica della Destra
Le “Linee guida per l’insegnamento dell’educazione civica” trasmesse il 7 agosto 2024 dal Ministero dell’istruzione e del merito al Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione per essere approvate, dichiarano senza pudore, anzi con piglio a tratti intimidatorio, una ben precisa visione di società, cittadinanza e scuola. Vale la pena farne una lettura approfondita per capire a cosa mira la politica del Governo attuale. Prima, per una corretta disamina, ripercorriamo la storia di questo insegnamento obbligatorio nelle nostre scuole di ogni ordine e grado.
La legge del 2019
Cinque anni fa, il 20 agosto del 2019 fu promulgata la Legge n. 92 su “Introduzione dell’insegnamento scolastico dell’educazione civica”. A capo del Ministero della Pubblica Istruzione e Università e ricerca siede Marco Bussetti, per il governo giallo-verde Conte I, il quale accelera i lavori in modo che Salvini possa ascriversi il merito della promulgazione, descrivendola alla stampa come ritorno alla disciplina e all’ordine.
In realtà fin dal 2015 con la legge 107, e poi con la riforma dell’istruzione professionale nel 2017, era nata la richiesta da parte di associazioni professionali e studentesche di mettere mano all’insegnamento di “Cittadinanza e costituzione”, stabilito con la Legge n. 169 del 30 ottobre 2008 e in vigore dall’anno scolastico 2008-09, in modo che fosse più legato a esperienze extra scolastiche ben progettate e valutate con cura. “Cittadinanza e Costituzione” era un insegnamento compreso nel primo ciclo nelle aree storico-geografica e storico-sociale e nelle secondarie da svilupparsi tramite progetti e attività da svolgersi durante l’anno, inteso a creare competenze di cittadinanza attiva che potevano essere valutate durante l’Esame di Stato. L’insegnamento non aveva una valutazione a sé ma in maniera molto discrezionale finiva per influenzare il voto di comportamento, il quale, ricordiamolo, faceva media.
La Legge n. 92 del 2019 era dunque in elaborazione da tempo e, come sempre è accaduto in Italia, fu frutto di una serie di compromessi tra differenti visioni di scuola e società. Ad oggi è questa la legge che sancisce e regola l’obbligo dell’insegnamento di Educazione civica nelle nostre scuole di ogni ordine e grado: esso è dovuto per un minimo di 33 ore annuali, senza aggravi per lo Stato e senza aggiunte né al monte ore né all’organico. Dall’anno scolastico 2020-2021 ha una valutazione numerica a sé nel documento finale, in base all’espressione di tutti i titolari dell’insegnamento, che sono nel primo ciclo tutte le docenti e nella secondaria anche, a meno che non sia presente un docente di discipline giuridico-economiche.
Per stabilire a cosa e in quale modo dovrebbe formare tale disciplina venne istituito nel novembre del 2019 un primo Comitato Tecnico Scientifico, dai lavori del quale avrebbe preso ispirazione, stante ciò che dice la Legge 92, un successivo decreto del Ministero recante le Linee guida per l’attuazione dell’insegnamento. Queste Linee Guida, si badi bene cosa dice la Legge istituente, dovranno stabilire traguardi delle competenze e obiettivi dell’apprendimento «in coerenza con le Indicazioni nazionali per il curricolo delle scuole dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, nonché con il documento Indicazioni nazionali e nuovi scenari e con le Indicazioni nazionali per i licei e le linee guida per gli istituti tecnici e professionali vigenti».
Nel maggio 2020, nonostante si fosse nel pieno della pandemia, il Comitato Tecnico Scientifico viene ridefinito, sempre con lo scopo di arrivare a validare le Linee Guida in tempo per partire con l’insegnamento a settembre, nel nuovo anno scolastico 2020-2021. A ottobre 2020 i curricoli delle scuole dovranno essere riscritti e la nuova disciplina insegnata, senza formazione, investimenti, dettagliate indicazioni di guida e nel pieno dell’emergenza Covid. Il documento che regola l’insegnamento istituito dalla Legge 92 e che fornisce le linee guida per farlo è pubblicato il 6 maggio 2020, durante il Ministero di Lucia Azzolina ed , è rimasto in vigore fino a questo agosto 2024. Vediamolo.
Le Linee guida del 2020
Dal decreto di emanazione veniamo a sapere che non furono accolte due richieste avanzate dal CSPI (Consiglio Superiore Pubblica Istruzione, l’organo consultivo del Ministero garante del funzionamento democratico dello stesso, sulle cui procedure di nomina e composizione il ministro Valditara ha dichiarato di voler intervenire). Vennero respinte sia la richiesta di prevedere per l’insegnamento di educazione civica una valutazione descrittiva e non numerica o sintetica in tutti i gradi di istruzione, sia la richiesta di investire risorse economiche per l’istituzione di questo insegnamento.
Nel decreto si stabiliva che: per gli anni scolastici 2020/2021, 2021/2022 e 2022/2023 sarebbero state le scuole a definire il curricolo di Educazione civica – sempre coerentemente alle Indicazioni Nazionali – e di conseguenza ciascun istituto avrebbe fissato i criteri per la valutazione, in rispondenza al PTOF (piano triennale offerta formativa) e alle procedure valutative già adottate dai Collegi docenti.
Il decreto prevedeva (all’art.4) anche che entro l’inizio dell’anno scolastico 2023/2024 il Ministero dell’istruzione avrebbe INTEGRATO le Linee guida per l’insegnamento dell’educazione civica definendo i traguardi di sviluppo delle competenze, gli obiettivi specifici di apprendimento e i risultati attesi sulla base delle attività delle istituzioni scolastiche e degli esiti del monitoraggio previsto dal comma 2 dello stesso articolo. Un monitoraggio delle prassi adottate dalle scuole di cui ad oggi non si riesce a trovare traccia da nessuna parte e tanto meno sul portale dedicato all’ Educazione civica sul sito del Ministero. Conviene visitare tale portale e verificare come sia lacunoso e non aggiornato (https://www.istruzione.it/educazione_civica/).
Perché rimandare al termine di un ulteriore triennio il documento definitivo? Si potrebbero supporre due ragioni: la prima è che a causa della pandemia, e della generale macchinosità e lentezza nell’apparato ministeriale, ancora vari punti della Legge 92 del 2019 non erano stati esauditi. La seconda è prendere tempo per uniformare le Linee guida definitive ai documenti che in ambito europeo e internazionale venivano progressivamente messi a punto in merito all’educazione alla cittadinanza, intesa come una sorta di cavallo di Troia per introdurre nell’istruzione pubblica nei vari Paesi prassi didattiche e intenti formativi coerenti con l’ideale di una società di massa composta da cittadini e cittadine in grado di comprendere e pensare le questioni politiche decisive, partecipando attivamente alle istituzioni democratiche altrimenti languenti. Un disperato e purtroppo vano tentativo di essere all’altezza dello sviluppo civile e culturale a cui siamo arrivati nonostante l’avidità, ingiustizia e lo strapotere delle concentrazioni del capitale industrial-finanziario.
I punti non esauditi, né nel 2020 né a oggi settembre 2024, della Legge 92 sono: l’istituzione di un albo delle buone pratiche per raccogliere le migliori soluzioni dedicate all’educazione alla cittadinanza attiva nelle nostre scuole (Art. 9), per le quali si prevedeva addirittura un premio nazionale annuale. L’Art. 8 con rubrica Scuola e territorio specificava che l’insegnamento dell’educazione civica dovesse essere integrato con esperienze extrascolastiche e condotto coinvolgendo in collaborazioni pluriennali enti ed associazioni dimostratesi efficaci partner in questa impresa. Questi soggetti privilegiati andavano censiti e tra di essi un ruolo principe avrebbe dovuto spettare ai Comuni. L’Art. 5 sull’educazione digitale prevedeva poi la convocazione «almeno ogni due anni» di una Consulta dei diritti e dei doveri del bambino e dell’adolescente digitale, determinata nella composizione nel funzionamento dal Ministro dell’Istruzione, composta da rappresentanti di studenti, insegnanti, famiglie ed esperti del settore con il compito di relazionare periodicamente al ministro stesso, ovviamente senza compenso o indennità di alcun tipo. Di fronte all’immane rivoluzione dell’intelligenza artificiale e alle trasformazioni sociali implicate dal digitale, in particolare nel campo della formazione, era un atto dovuto, oggi ancora inevaso.
Fin qui il decreto di emanazione delle Linee Guida, contenute poi effettivamente negli Allegati A, B e C per un totale di 7 pagine volte a facilitare la stesura dei curricoli e a ribadire il dettato della legge. Non veniva in nessuna maniera enunciato ex-novo un quadro ideologico o di principio, ritenuto bastante quanto scritto nell’articolo 1 della Legge 92: «L’educazione civica contribuisce a formare cittadini responsabili e attivi e a promuovere la partecipazione piena e consapevole alla vita civica, culturale e sociale delle comunità, nel rispetto delle regole, dei diritti e dei doveri».
La novità del documento era pertanto l’identificazione di 3 nuclei concettuali per riassumere le 8 tematiche identificate dalla Legge 92. Le TEMATICHE che la Legge 92 definisce sono: «a) Costituzione, istituzioni dello Stato italiano, dell’Unione europea e degli organismi internazionali; storia della bandiera e dell’inno nazionale; b) Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 25 settembre 2015; c) educazione alla cittadinanza digitale; d) elementi fondamentali di diritto, con particolare riguardo al diritto del lavoro; e) educazione ambientale, sviluppo eco-sostenibile e tutela del patrimonio ambientale, delle identità, delle produzioni e delle eccellenze territoriali e agroalimentari; f) educazione alla legalita’ e al contrasto delle mafie; g) educazione al rispetto e alla valorizzazione del patrimonio culturale e dei beni pubblici comuni; h) formazione di base in materia di protezione civile».
Invece i NUCLEI ricavati dal Decreto n.35 del maggio 2020 sono: 1. COSTITUZIONE, diritto (nazionale e internazionale), legalità e solidarietà («conoscenza, la riflessione sui significati, la pratica quotidiana del dettato costituzionale»); 2. SVILUPPO SOSTENIBILE, educazione ambientale, conoscenza e tutela del patrimonio e del territorio (l’inesorabile e ineludibile riferimento all’Agenda 2030 dell’ONU ma aggiungendo: « la costruzione di ambienti di vita, di città, la scelta di modi di vivere inclusivi e rispettosi dei diritti fondamentali delle persone, primi fra tutti la salute, il benessere psicofisico, la sicurezza alimentare, l’uguaglianza tra soggetti, il lavoro dignitoso, un’istruzione di qualità, la tutela dei patrimoni materiali e immateriali delle comunità»); 3. CITTADINANZA DIGITALE (a cui è dedicato un intero articolo, il 5, della legge 92).
Come sempre si insisteva sulla trasversalità «per evitare superficiali e improduttive aggregazioni di contenuti teorici e per sviluppare processi di interconnessione tra saperi disciplinari ed extradisciplinari» ma si annullava di fatto nelle indicazioni metodologiche la spinta a lavorare su “Scuola e territorio” che era presente nella legge 92 consentendo la gattopardesca soluzione di segnare le ore sul registro e dire che unità didattiche già previste fanno cose attinenti all’educazione civica. Infine nel punto sulla valutazione se da una parte si rispondeva in qualche modo alla richiesta della valutazione formativa avanzata dal CSPI (è possibile «avvalersi di strumenti condivisi, quali rubriche e griglie di osservazione, che possono essere applicati ai percorsi interdisciplinari») dall’altra si rimandava: «a partire dall’anno scolastico 2023/2024 la valutazione avrà a riferimento i traguardi di competenza e gli specifici obiettivi di apprendimento […] per la scuola del primo ciclo, gli obiettivi specifici di apprendimento per i Licei e i risultati di apprendimento per gli Istituti tecnici e professionali definiti dal Ministero dell’istruzione» ovvero quelli che sono proposti nelle nuove linee guida prodotte dal ministero a guida Valditara le quali purtroppo ignorano o addirittura contraddicono le Indicazioni nazionali.
Ricordiamo per concludere che dopo le Linee guida del maggio 2020, viene pubblicata nel luglio 2020 una nota ministeriale con cui si finanzia con quattro milioni di euro un Piano di formazione dei docenti per l’educazione civica. Vuoi per problemi strutturali collegati alle modalità e agli attori delle formazioni erogate del Ministero, vuoi per i problemi contingenti implicati dallo stato pandemico, tali corsi non hanno avuto né la capillarità né la metodologia adatte a diffondere un qualsiasi effetto formativo significativo. Diventato ministro Patrizio Bianchi con il governo Draghi, il 23 novembre 2021 un decreto istituisce un nuovo Comitato Tecnico Scientifico e un Gruppo di Esperti da cui ci si aspettava addirittura «un nuovo livello di riflessione sul Paese, sul nostro vivere civile, su questioni importanti per la crescita delle nuove generazioni». In realtà non si sa nulla e niente di tutto questo lavorio, da supporre del tutto gratuito, se non che ministro ormai Valditara nel governo Meloni, il 23 Marzo 2022 si provvede a un’ulteriore modifica della composizione del CTS e a una ulteriore proroga: fino alla stesura dell’integrazione alle linee guida o comunque in nessun caso oltre il 30 settembre 2023.
Cosa c’era scritto nelle relazioni consegnate nell’ottobre del 2023? Quali sono state le indicazioni del Board di esperti e del CTS? In che misura le persone che ne hanno fatto parte sono responsabili della chiave ideologica, del linguaggio, dei contenuti delle Linee guida guida rese note al pubblico e al CSPI nell’agosto 2024 e rese legge con decreto firmato il 7 settembre 2024, nonostante le critiche e la bocciatura dell’organo consultivo? A fronte della natura arrogante e intimidatoria del documento che andiamo qui di seguito ad esaminare sarebbe veramente interessante saperlo.
Le Linee Guida 2024
Come abbiamo visto, la pubblicazione di un’integrazione alle Linee guida, con la specificazione di traguardi delle competenze e obiettivi di apprendimento, era dovuta e attesa e anzi giunge con un anno di ritardo. Ciò che è stato pubblicato ad agosto è un documento molto esteso, che si prende largo spazio nella prima parte per delineare un quadro di presupposti ideologici e una visione di principio nuova e fondamentalmente distante, per linguaggio e contenuti, dalla Legge 92 a cui deve rispondere e dalla tradizione istituzionale dell’insegnamento dell’educazione civica in Italia nonché dai documenti europei e internazionali che il Paese ha sottoscritto.
Esso è composto da due parti: la prima fornisce il quadro teorico che ne ha dettato l’impostazione, presenta i principi e i riferimenti ideali secondo cui sono stati messi a punto traguardi e gli obiettivi. Nella seconda parte sono appunto formulati questi traguardi delle competenze e per ciascuno di essi vengono elencati gli obiettivi di apprendimento pertinenti.
In questo articolo analizzeremo la prima parte. Tutta la tradizione italiana a proposito dell’insegnamento dell’educazione civica, che fu istituito per la prima volta con Ministro dell’istruzione Aldo Moro nel 1959, indica come compito quello di creare consapevolezza critica sulla strutturazione della vita sociale giuridica e politica. La sua vocazione è quella di fornire le conoscenze necessarie a diventare membri responsabili e criticamente attivi della società a cui si appartiene tramite la conoscenza delle leggi e il possesso di nozioni per interpretare dimensioni e problematiche della vita collettiva. Con la crisi delle istituzioni democratiche delle società industriali avanzate, tutti gli aspetti della vita sociale sono stati soffocati dalla molecolarizzazione consumistica delle aspirazioni civili e partecipative e si è creata la necessità o per meglio dire l’illusione di attribuire alle scuole e alle agenzie formative il compito di fornire strumenti per quella partecipazione attiva alla vita democratica che viene altrimenti ostacolata o addomesticata. Gli organismi internazionali e le agenzie intergovernamentali che rispondono ai principi democratici affermatisi dopo il 1945 non fanno altro che elaborare materiali sotto forma di Linee guida, raccolte di competenze e Tool kit per fornire a tutte e tutti le cittadine le competenze per partecipare attivamente alla vita democratica della società. Di tutto questo nel documento a firma Valditara non c’è traccia.
Nella visione lì proposta pare che l’insegnamento dell’educazione civica abbia fondamentalmente uno scopo disciplinare, mirando a inculcare amore per le regole e rispetto dell’ordine ossia della tranquillità per le strade, delle iniziative e delle proprietà private, della libertà delle imprese. Un cittadino prudente, ligio alle regole, capace di rispettare la proprietà privata e amministrare oculatamente il suo, che apprezzi in primo luogo il decoro urbano e il tranquillo svolgimento di un’operosità generale tesa alla produzione di ulteriore ricchezza all’interno dei propri confini nazionali anche a prezzo, si può immaginare, di un glorioso sforzo bellico. Un cittadino che sappia di dover dimostrare il proprio merito lavorando sempre e il più possibile. Insomma non un inedito in Italia: dalla parte dei ricchi padroni, garantendo ordine e consenso da parte del popolo.
Scendiamo nel dettaglio. Prima di tutto ecco un un elenco di parole che nelle Linee Guida del Merito non compaiono nemmeno una volta: diseguaglianza equità giustizia umanità casa pianeta ecologia globale pace. Si potrebbe dire che non avevano posto nemmeno in quelle provvisorie del 2020 ma dobbiamo ricordare che esse rimandavano alla Legge 92 e alle Indicazioni nazionali del 2012 per i principi e si presentavano come un succinto documento ai fini dell’operatività. Non andavano a delineare, come si fa inopportunamente in queste del 2024, un’idea di cittadinanza e di formazione etica e morale.
Il primo dei 10 paragrafi in cui si articola il documento Linee guida per l’insegnamento dell’educazione civica si intitola Il quadro di riferimento nazionale e internazionale ma in realtà in esso manca qualsiasi riferimento a qualsivoglia documento internazionale. Ve ne sono almeno due di importanza decisiva, che non sarebbero dovuti essere ignorati: Educazione alla cittadinanza globale: temi e obiettivi di apprendimento, licenziato nel 2018 dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO) e il Quadro di riferimento per le competenze di una cultura della democrazia elaborato e stampato dal Consiglio d’Europa nel 2018 (in Italia, 2021). Sono leggibili gratuitamente on line. In questi documenti tutte le parole tragicamente assenti nelle nostre “Linee guida del merito”, ricorrono largamente. In particolare è interessante, e globalmente riconosciuto come testo guida, il documento UNESCO, frutto di una ricerca pluriennale di ottime esperte e destinato a essere diffuso con importanti iniziative internazionali nei prossimi anni. In Italia è stato tradotto grazie all’iniziativa del Centro per la Cooperazione Internazionale di Trento che mette in esergo alla Prefazione alla traduzione citazioni di Montessori e di Freire, focalizzando il ragionamento sulla pace. Nel documento è declinata in ogni maniera l’indicazione di: «Distinguere fra identità personale e collettiva e quella dei vari gruppi sociali. Coltivare un senso di appartenenza ad una comune umanità». Ma forse ancora più grave dell’ignoranza del quadro internazionale è la censura di quello che dovrebbe essere, a rigor di legge, il riferimento decisivo per la stesura delle Linee guida ossia le Indicazioni nazionali del 2012, dalle quali non sono riprese né parole né principi (lì nel paragrafo Per una nuova cittadinanza a pagina 6 si legge: «La promozione e lo sviluppo di ogni persona stimola in maniera vicendevole la promozione e lo sviluppo delle altre persone: ognuno impara meglio nella relazione con gli altri. Non basta convivere nella società, ma questa stessa società bisogna crearla continuamente insieme. Il sistema educativo deve formare cittadini in grado di partecipare consapevolmente alla costruzione di collettività più ampie e composite, siano esse quella nazionale, quella europea, quella mondiale»).
Questi riferimenti negati e taciuti elaborano i loro principi ridefinendo la questione appartenzenza, identità, memoria e differenze in direzione di una cultura delle interconnessioni e della convivenza pacifica a livello globale, collegando il tema della disegueglianza a quello dell’emergenza ambientale: esattamente ciò che l’educazione civica patriottica, nazionalista, iperindividualista e razzista di Valditara vuole cancellare. Le uniche leggi citate espressamente e messe in risalto nel primo paragrafo delle Linee guida del Merito sono un disegno di legge sulla sicurezza stradale e i decreti legge che trattano questioni di risparmio creditizio e quotabilità finanziaria dei piccoli capitali dove si ribadisce la necessità di implementare l’educazione finanziaria nelle scuole.
I principi: individuo, patria, proprietà privata, obbedienza, lavoro
Il secondo paragrafo si intitola Principi a fondamento dell’educazione civica ed è quello da leggere con maggiore attenzione. Dopo aver riportato in parafrasi l’articolo 1 della legge 92, il testo afferma il carattere personalistico della Costituzione italiana, prendendo uno dei principi della Carta per piegarlo a una lettura strumentale, fino ad alterarne il significato. Per la Costituzione italiana ogni essere umano è riconosciuto portatore di diritti inviolabili da garantire per lei/lui e per le formazioni sociali cui appartiene e ha dei doveri inderogabili verso la comunità: sul principio personalista sono state scritte migliaia di pagine e chi vorrà studiarle si renderà conto come esso nulla abbia a che vedere con l’esaltazione dell’individualismo e la riduzione dell’impegno solidale per la collettività, ma sia per il pluralismo e contro il totalitarismo. La persona si sviluppa e fiorisce se partecipa alla vita civile e sociale, se può fare con gli altri senza subire e senza esercitare violenza e non esiste un bene comune senza dedizione, e tributo, a scopi e necessità collettive: ciò insegna la Carta costituzionale, che piaccia o meno. In questo invece si passa dall’affermazione brutalmente semplificatoria che lo Stato è al servizio della persona e non viceversa all’esaltare l’importanza di «stimolare e valorizzare ogni talento». In queste prime 30 righe “talento” è la parola che ricorre di più. Subito dopo si insiste sullo sviluppo di una «cultura dei doveri» in cui è centrale il rispetto delle regole (senza altre specificazioni) in modo che la società sia «ordinata»: il testo batte ostinatamente sulla responsabilità individuale, che deve stare al posto di una responsabilità sociale, negando paradossalmente in un testo sull’educazione civica ogni valore alla dimensione politica nella vita delle persone. È questo uno dei leitmotiv insistenti, rideclinato poco più avanti così: «la società deve essere funzionale allo sviluppo di ogni individuo e non viceversa». Se i doveri dell’individuo non saranno verso la crescita pacifica e giusta di una società, a chi andranno rivolti? All’obbedienza, all’ordine, alla patria, alla proprietà privata e al datore di lavoro pare. Continuando a leggere poco avanti, appare infatti il secondo leitmotiv di questo spudorato documento: «la necessità di valorizzare la cultura del lavoro come concetto fondamentale della nostra società da insegnare già a scuola fin dal primo ciclo di istruzione». Ci torneremo più avanti.
Il testo prosegue affermando che questa scuola costituzionale, dando centralità alla persona dello studente deve: «favorire l’inclusione, a iniziare dagli studenti con disabilità, dal recupero di chi è rimasto indietro, dal potenziamento delle competenze di chi non ha eguali opportunità formative, e di chi non conosce la nostra lingua». Osserviamo che “non avere uguali opportunità formative” pare essere condizione naturale e non sociale ma soprattutto notiamo il linguaggio dicotomico tra noi e loro. Nel documento UNESCO sopra citato si parla dell’importanza di respingere un discorso «spesso intriso di paternalismo dove gli interventi sono descritti come diretti ad un Altro distante e disumanizzato nella sua difficoltà o indigenza. Uno degli obiettivi dell’educazione alla cittadinanza globale […]è anche quello di contribuire alla decostruzione di questo discorso, degli immaginari ad esso collegati e di avvicinare quest’Altro disumanizzato interpretando il tema dello sviluppo non solo come una serie di difficoltà tecniche cui possono essere applicate soluzioni standardizzate e universali, ma più propriamente come una questione di giustizia sociale, nel contesto di una sola umanità fortemente interconnessa».
Nelle Linee guida del Merito si legge che il soggetto debole, da includere, da integrare, da non lasciare indietro e potenziare è fondamentalmente lo straniero. L’educazione civica proposta – leggiamo – «può supportare gli insegnanti nel lavoro dell’integrazione, producendo nei suoi esiti coesione civica e senso della comunità, evitando che anche in Italia si verifichino fenomeni di ghettizzazione urbana e sociale». Ma “anche in Italia” in che senso? Non si parla di diseguaglianze e di giustizia sociale ma di un Paese ideale in cui non vi è attualmente nessuna ghettizzazione, parola associata esclusivamente alla questione di coloro che sono stranieri, e non di coloro che sono poveri o sfruttati.
A partire da qui e per i tre paragrafi successivi si insiste su un solo concetto: il sentimento di appartenenza alla Patria italiana. Sappiamo che nel lavoro educativo il tema dell’appartenenza è delicatissimo e cruciale. Per crescere in salute bisogna sentirsi e sapersi radicati in una comunità, in un ambiente naturale e storico e in una rete di scambi simbolici e affettivi: ciò permette di accrescere la stima e la sicurezza in sé e salvaguarda la possibilità di agire nel mondo senza paura, terrore e sentimenti di subalternità o rivalsa. Appartenere a un luogo, a un tempo, a una cultura che ci hanno costituito e la cui conoscenza profonda è stata la chiave per diventare pensanti è una delle esperienze del crescere di cui la formazione deve prendersi cura, sapendo anche che oltre all’appartenenza conta la possibilità del distacco e della critica, pur salvaguardando la gratitudine e il riconoscimento. Ad oggi riconosciamo il valore dell’appartenenza a una comunità e all’intera umanità e sappiamo quali sono i modi in cui si può parlare di appartenenza a una nazione, dopo le tragedie della Storia. Ciò che ci spaventa nel leggere questo documento è l’insistenza sull’appartenenza a una comunità nazionale, senza fare mai riferimento ad altro. Il nazionalismo ieri come oggi significa solo una cosa: guerra.
L’inquietante quadro di principi prosegue con un passaggio comico quando si dice che: «l’insegnamento dell’educazione civica dovrebbe aiutare gli studenti a capire la storia intera del Paese, riconoscendola nella ricchezza delle diversità dei singoli territori e valorizzando le varie eccellenze produttive che costituiscono il “Made in Italy”», lasciando così cadere, in ossequio all’economicismo forsennato che pervade ogni riga, persino quell’autarchismo linguistico che tanto dovrebbe essere caro agli esponenti di questo governo. Nella riga dopo si torna a mettere a fianco «l’esercizio delle virtù civiche» con «la valorizzazione delle tipicità e delle tradizioni dei territori della Repubblica». Tipicità gastronomiche in senso da depliant turistico, parrebbe. Infatti, con grande coerenza, a questa valorizzazione del made in Italy e di tipicità turistiche segue l’esaltazione dello «spirito di iniziativa e di imprenditorialità», i quali servono per affrontare «sfide e trasformazioni sociali attuali» e a coltivare un «sentimento di autodeterminazione». Qui finisce qualsiasi dimensione civica o se si vuole collettiva: “sfide e trasformazioni della società” sono eventi inevitabili a cui un individuo dotato di “talento imprenditoriale e di autodeterminazione” sopravvive, non sono la scena storica dell’impresa collettiva e politica, la sede dell’impegno e della partecipazione attiva per dare forma a una società. L’agghiacciante quadro dei principi conclude – e non poteva essere altrimenti – che «Parallelamente alla valorizzazione della iniziativa economica privata si evidenzia l’importanza della proprietà privata».
A questo punto il documento pare ricordarsi la sua funzione, cioè di dare indicazioni per l’insegnamento dell’educazione civica i cui principi erano già nella Legge 92 e nelle Indicazioni nazionali. Ritorna sul principio della trasversalità dell’insegnamento, di nuovo rimanda a documenti europei e internazionali senza citarli. Come indicazioni metodologiche si indicano «attività di carattere laboratoriale, casi di studio, seminari dialogici a partire da fatti ed eventi di attualità» mentre pochissimo si insiste sulle esperienze extra scolastiche da svolgere sul territorio, come se il Covid non ci fosse stato e la Legge 92 non fosse vincolante prevedendo addirittura albi specifici e reti di collaborazione. Viene addirittura da chiedersi quale sia il livello di malafede perché il testo dice di riprendere i nuclei concettuali dalla Legge 92, che aveva solo Tematiche, mentre i Nuclei concettuali erano stati formulati nelle Linee guida del 2020 (COSTITUZIONE, diritto (nazionale e internazionale), legalità e solidarietà, SVILUPPO SOSTENIBILE, educazione ambientale, conoscenza e tutela del patrimonio e del territorio; CITTADINANZA DIGITALE), i quali comunque vengono modificati in: Costituzione; Sviluppo economico e sostenibilità; Cittadinanza digitale, con una torsione economicista che il CSPI non ha potuto fare a meno di criticare e respingere.
Il “quadro dei principi” delle Linee del merito si conclude ripercorrendo tali nuclei. Per la Costituzione torna a insistere sul fatto che le leggi della Costituzione sono fatte per le persone e non le persone per esse, poi batte sull’educazione alla legalità, sull’educazione stradale e lungamente in conclusione del paragrafo sul “dovere del lavoro”. Ecco, dopo individualismo patriottico e proprietà privata, il terzo leit motiv a cui fare attenzione: non il lavoro inteso come la forza nascosta capace di trasformare il mondo, come l’ambito in cui ci si incontra con gli altri e si costruisce assieme il senso e la ragione della vita umana che ha bisogno di avere scopo e visione per la sua necessaria operosità; non il lavoro come mezzo che ha ciascuno di intervenire sulla realtà per trasformarla senza fare male agli altri e invece incontrandoli in pace per dare forma alla vivibilità comune del mondo. È un lavoro di tutt’altro tipo, assolutizzato e inteso come dovere etico di ubbidienza a un imperativo e a una forma di realizzazione strettamente personale, connesso al doversi meritare di possedere qualcosa e di esistere da qualche parte.
Per Sviluppo economico e sostenibilità (dicitura che espunge l’educazione ambientale) è sufficiente leggere l’incipit: «È importante educare i giovani ai concetti di sviluppo e di crescita. Per questo, la valorizzazione del lavoro, come principio cardine della nostra società, e dell’iniziativa economica privata è parte fondamentale di una educazione alla cittadinanza. La diffusione della cultura di impresa “trasferisce” alle studentesse e agli studenti attitudini e conoscenze relative al mondo del lavoro e all’autoimprenditorialità». Poi, forse intuendo l’orrore che può causare questo modo di scrivere nell’epoca della catastrofe ambientale quando tutte ci rendiamo conto che solo uno sforzo globale per una visione differente dei bisogni e delle aspirazioni ci salverà, ecco che si dice: «Ovviamente, lo sviluppo economico deve essere coerente con la tutela della sicurezza, della salute, della dignità e della qualità della vita delle persone, della natura, anche con riguardo alle specie animali e alla biodiversità, e più in generale con la protezione dell’ambiente». Potremmo fermarci qui nella disamina del testo perché questa impostazione ci rivela come questo documento vada inteso alla stregua di una dichiarazione di guerra alle giovani generazioni che si preparano (o vorrebbero prepararsi o forse inevitabilmente si prepareranno) a una lotta senza quartiere per difendere un futuro vivibile e pacifico su questo pianeta. Le Linee guida del Merito dicono che da difendere a tutti i costi è la proprietà privata e gli interessi delle grandi corporation industrial-finanziarie. Stando con occhi aperti e orecchie attente il sottotesto delle Linee guida che ci ha presentato il governo Meloni ad agosto è un attentato a una possibilità di futuro aperta dalle conoscenze e dalle azioni collettive che elaborano l’interdipendenza di tutte le forme di vita, pensiero alla base di una umana convivenza pacifica.
Ultima e definitiva conferma è che, sempre all’interno di questo nucleo concettuale, il riferimento alla questione ecologica sia rapidissimo e retorico («possono rientrare tematiche riguardanti l’educazione alla salute, alla protezione della biodiversità degli ecosistemi, alla bioeconomia anche nell’interesse delle future generazioni”) mentre si insiste sul quarto leitmotiv, dopo individuo italiano ubbidiente, proprietà privata, lavoro: è il decoro urbano. Da qui in avanti vi si farà riferimento di continuo, anche nell’elenco disteso degli obiettivi di apprendimento. Tanto poco si parla di ambiente e di ecologia tanto si insiste sul decoro urbano: è una visione della città non come luogo della politica e banco di prova della convivenza civile nelle differenze ma come vetrina dell’ordine garantito agli abbienti da ubbidienti lavoratori che mai si sognerebbero di manifestare per strada e agire per ottenere altre leggi e politiche.
In questo “Sviluppo economico e sostenibilità” rientrano l’educazione alimentare, allo sport, al contrasto delle dipendenze e soprattutto, dulcis in fundo, «l’educazione finanziaria, assicurativa e alla pianificazione previdenziale». Con fare più intimidatorio che provocatorio anche questo paragrafo si conclude con l’insistenza sul privato: «l’educazione finanziaria va intesa inoltre come momento per valorizzare e tutelare il patrimonio privato». La questione ovviamente non è negare la possibilità di insegnare nelle scuole come parlare e pensare alla gestione del denaro nelle forme contemporanee, una necessità ineludibile, ma come farlo e in quale cornice ideologica. Valentina Moiso in Addomesticare e governare la finanza, articolo di apertura del focus di approfondimento La finanza e noi sul numero 100 de Gli Asini del giugno 2022 scriveva: «La finanza entra nelle nostre vite, direttamente o indirettamente, anche quando non ci aspettavamo di farci i conti. Le soluzioni proposte dal sistema privato oggi ruotano intorno a due nuclei: la gestione del rischio mediante algoritmi e l’educazione finanziaria. Ma la questione è anche politica: governare la finanza. Cioè agire sull’equilibrio tra aspetti economici e diritti di cittadinanza sociale». La questione ha una rilevanza pedagogica e politica tale che dedicheremo questo tema dell’educazione finanziaria un prossimo focus. Sempre Moiso scriveva: «La prima azione da fare per contrastare il dominio e superare gli eufemismi è svelare la gravità di certe mistificazioni. Educando i cittadini».
Per ciò che riguarda il terzo nucleo concettuale, ovvero la Cittadinanza digitale, molto è ripreso letteralmente da quelle che erano le Linee guida del 2020. Ma più che rilevare alcune espressioni («la dimensione fisica tangibile della vita si è ridotta e la maggior parte delle attività si svolge nello spazio digitale»; «i più giovani vittime elettive quando si verifica un uso lesivo della rete») o l’assenza della famosa Consulta dei diritti e dei doveri del bambino e dell’adolescente digitale dobbiamo constatare l’incapacità e il rifiuto di pensare come sfida intergenerazionale la ridefinizione dell’umanesimo nella rivoluzione tecnologica digitale e , possiamo solo prendere atto dell’incapacità e del rifiuto di pensare e parlare di ciò in cui si gioca ogni questione di dominio. Segniamo dunque come compito di lavoro per tutte noi l’elaborazione di una vera riflessione educativa e politica sul digitale.
Guardi o agisci? fare davvero cultura
Il terzo paragrafo delle Linee guida 2024 si intitola «La trasversalità dell’insegnamento» e bisogna mettere a fuoco questi passaggi: «Il Collegio dei Docenti e le sue articolazioni, nonché i team docenti e i consigli di classe, nella predisposizione del curricolo e nella sua pianificazione organizzativa, individuano le conoscenze e le abilità necessarie a perseguire i traguardi di competenza fissati dalle Linee Guida, attingendo anche dagli obiettivi specifici in esse contenuti. […]È fondamentale che le tematiche trattate siano sempre coerenti e integrate nel curricolo e siano funzionali allo sviluppo delle conoscenze, abilità e competenze previste nei traguardi per lo sviluppo delle competenze dalle Indicazioni Nazionali per il primo ciclo, dalle Linee Guida degli Istituti tecnici e professionali e dalle Indicazioni per i Licei».
È da qui che ci si può attestare per la resistenza e la creazione di prassi di insegnamento all’interno degli istituti statali che affermino una visione della conoscenze e delle abilità civiche e sociali differenti da ciò che è scritto in queste Linee guida. Gli obiettivi di apprendimento (confusi, inappropriati, impraticabili come ha indicato il parere del CSPI ignorato) hanno una dicitura che comunque consente a noi docenti di declinarli in termini di conoscenze di cui continuiamo ad essere responsabili. Nessuna di noi sarà obbligata a insegnare l’orgoglio nazionalista e un amor di patria bellicista. Anzi, è a partire da quella meschinità arrogante di linguaggio e ideologia che possiamo mettere in campo una reazione vincente, giocando di rilancio con la certezza di essere dalla parte giusta. L’attivismo pedagogico in Italia è carente nella messa a punto e nella diffusione capillare di strumenti e materiali didattici per il lavoro di insegnamento ed emancipazione nelle classi. Molte buone idee e discorsi ma pochi strumenti. Siamo chiamate tutti e tutte a una fase di lavoro cooperativo in prima persona, dalle scuole d’infanzia alle aule universitarie dobbiamo prendere spunto dalla tradizione delle Biblioteche di lavoro, degli strumentari dell’educazione popolare, dalle pratiche di autocostruzione montessoriane, dei Cemea e della cooperazione. Chi nelle università pensa e riconosce il rischio a cui siamo esposti e l’impegno a cui siamo chiamati deve mettersi al servizio di questo sforzo e produrre materiale didattico splendido ed efficace per noi e con noi. Se il Ministero del merito stabilisce come obiettivo «approfondire il concetto di Patria», noi avremo strumenti culturalmente inattaccabili e illuminanti per illustrare la storia di questo concetto, il significato romantico e ideale così come l’uso assassino e liberticida che se n’è fatto. Ma questo è solo un esempio, potremmo costruirne altri, rispondendo come si deve all’obiettivo di «Conoscere le condizioni della crescita economica» a quello di «Conoscere, attraverso lo studio e la ricerca, le cause dello sviluppo economico e delle arretratezze sociali ed economiche in Italia ed in Europa»; da «Mettere in relazione gli stili di vita delle persone e delle comunità con il loro impatto sociale, economico ed ambientale» a «Valutare con attenzione ciò che di sé si consegna agli altri in rete, rispettando le identità, i dati e la reputazione altrui». Il principio sia quello del pragmatismo: è il momento di creare con la nostra azione indefessa e unitaria la trasformazione delle leggi che vogliamo, non è un tempo di lamento ma di azione.
La parte normativa effettiva del documento quindi, che viene sviluppata per 8 successivi paragrafi che non analizzeremo dettagliatamente, definisce i traguardi di competenza ed elenca gli obiettivi di apprendimento restando vincolata a un quadro legislativo, argomentativo e linguistico internazionale da cui non può ritirarsi. Di conseguenza adotta una enunciazione “standard” in gergo scolastichese e solo di tanto in tanto balena un guizzo da bravacci. Non si sa se per fretta, ambizione o ignoranza gli elenchi degli obiettivi di apprendimento, organizzati per griglie e livelli di scuola, è iper abbondante e confusiva, va dalla litosfera all’intimazione di diligenza e ubbidienza. Pur imbrigliata dal riferimento obbligato a documenti precedenti, nazionali e internazionali, di tutt’altra impostazione, resta evidente l’ossessione sviluppista ed economicista, la volontà di disciplinare i giovani a non fare politica, esaltando le scelte individuali sopra qualsiasi responsabilità sociale, insistendo su proprietà privata e culto della ricchezza personale. Ci viene proposta una educazione civica che non sa pensare la rivoluzione digitale, l’ambientalismo e il presentarsi alla storia delle soggettività femminili, tanto che si potrebbe scrivere un saggio su come scrive delle donne. Queste linee guida ci lasciano la possibilità di continuare a fare come crediamo in coscienza ma non vorremmo che ciò induca a sentirsi al sicuro e a sottovalutare l’attentato alla pace e alla democrazia future che prospettano.