Non valutate, descrivete!

A chi ha meno di trent’anni sembrerà incredibile ma i voti non sono sempre esistiti nella scuola italiana. Il totem valutazione non ha sempre fatto prostrare il sistema scolastico come nell’ultimo paio di decenni. L’oppio dell’oggettività non è sempre stato religione di Stato. Noi cinquantenni abbiamo fruito di una scuola che sapeva dare alla pagella il suo giusto peso: la sua funzione di documento attestante l’avvenuta scolarizzazione, foglio di via per successivi gradi di istruzione o per esperienze professionali. Ben irreggimentata nel suo ruolo burocratico, la valutazione non condizionava (e mai si sarebbe sognata di farlo) la pedagogia. La quale, peraltro, specie nelle sue forme più significative e pratiche (Mce, scuole attive, comunità cristiane di base, scuole comunali) era riuscita a diventare sistema, a permeare dei suoi principi la scuola ereditata da Gentile. Culmine di questa vera riforma sono i programmi per la scuola elementare del 1985 “scritti” da Mario Lodi.
Anche se un voto bisognava esprimerlo per legge, nel quarto di secolo fra la metà degli anni Settanta e il nuovo millennio prende piede una pratica valutatoria sacrosantamente affidata al diritto/dovere costituzionale della libertà d’insegnamento. Vale a dire che ogni docente sceglie i criteri docimologici che più ritiene consoni al suo far scuola. Non ci sono, semplicemente perché non ci possono essere, prescrizioni generali su scala nazionale sotto forma di griglie, test, prove comuni, eccetera. A singola e irripetibile esperienza pedagogica corrisponde altrettanto singola e irripetibile valutazione. In poche sintetiche frasi, ognuno con il suo strumentario retorico (che può spaziare fra la poesia e la didascalia), tratteggia il percorso fatto dallo scolaro registrando solo gli apprendimenti consolidati e lo spirito con il quale questi sono stati costruiti e raggiunti nella dimensione sociale della scuola. Possibilmente scrivendo come mangia: il rapporto (questa una definizione della cosa che dovrà sostituire il veterotestamentario “giudizio”) deve essere compreso e valorizzato in primo luogo dal bambino.
Quando da ragazzo mi divertivo a rileggere le considerazioni su cosa facevo a scuola scritte da certi miei insegnanti sulle pagelle (plaudendo o deridendo) credevo che fossero conseguenza dei loro metodi illuminati e innovativi, pensavo fossero frutto di simpatiche eccentricità. Passato nelle loro fila poco più che ventenne e dunque tenuto a misurarmi anche con la redazione dei documenti di valutazione, constatai piacevolmente – razzolando negli archivi scolastici, discorrendo con colleghi più vecchi e frequentando la letteratura in materia – che la pratica di descrivere laconicamente quanto e come un alunno aveva fatto nei mesi precedenti era una modalità di valutazione molto diffusa. Perfino sostenuta dai direttori didattici – categoria ben diversa dai “nostri” dirigenti scolastici – i quali la consigliavano raccomandando di evitare esposizioni astruse e burocratese. E questo in una sperduta valle alpina, ben lontana dai centri di elaborazione e irradiazione della scienza pedagogica. La prima pagella che ho scritto, nel 1991, era dunque una semplice descrizione. E così quelle che sono seguite.
Da tempo vado predicando che la vera innovazione pedagogica ce l’abbiamo alle spalle. Non solo quella tracciata dai noti movimenti di scuola attiva e pedagogia umanistica (Freinet, Montessori, Steiner, eccetera) ma anche un universo di esperienze minori e sconosciute diffuse capillarmente nella scuola che non si sono date un sistema organizzativo, non hanno fatto cronaca, non hanno curato la comunicazione, non hanno pubblicato libri sulle loro esperienze, ma hanno fatto scuola: assicurato ai propri alunni un servizio pubblico di istruzione non astratto, ritagliato sui concreti gradi di sviluppo cognitivo e rispettoso delle intelligenze nella loro individualità.
Verso la fine degli anni Novanta la scuola, come tutto il welfare, viene invasa dalle truppe del capitale umano con tutto il loro seguito di teologia di mercato e tecnologia rituale. Il nostro Mauro Boarelli ce lo ha egregiamente spiegato.
La statistica espelle la pedagogia dalla scuola convincendo – come il cuculo con gli uccelli dei quali usurpa il nido – insegnanti e dirigenti di essere lei la vera scienza della formazione.
Un istituto di statistica, l’Invalsi, diventa il ministero dell’istruzione. Il merito misurato con infallibili criteri oggettivi è la “mission” del servizio pubblico di istruzione. Gli storici della politica ricorderanno questo periodo come il secondo compromesso storico: tutti i partiti seduti in parlamento osannano la teoria del capitale umano e anche l’Italia diventa una teomeritocrazia. Va da sé che i programmi del 1985 vadano archiviati. La commissione che ci mette mano trasformandoli in Piani di Studio, farcita di baroni universitari, burocrati e psicologi da talk show, è benedetta da Umberto Eco(!) e poi consacrata a Edgar Morin(!). A dire che nemmeno le menti più eccelse sono vaccinate contro le allucinazioni collettive. Vengono reintrodotti i voti numerici (espressi con un aggettivo corrispondente a un numero in provincia Trento).
La Costituzione però continua a garantire la libertà di insegnamento. Il che significa che sono io ad avere la responsabilità dei voti che assegno. E così anche negli ultimi vent’anni ho compilato i documenti di valutazione utilizzando la valutazione descrittiva. Naturalmente spiegando le motivazioni alle famiglie (che sempre hanno compreso e condiviso confermando la possibilità che i popoli siano più avanti di chi li governa) in sede di consiglio di classe e attraverso comunicazioni come questa.
“Gentili genitori,
la scuola primaria ha rinunciato ormai da decenni a essere selettiva. Non è più ‘palestra di vita’ dove i bambini, confrontandosi agonisticamente con programmi e compagni, conquistano una posizione ordinata gerarchicamente da un numero o un aggettivo: il voto. In relazione al gradino assegnato dai docenti, gli alunni avanzavano nel loro percorso scolastico o, in caso di giudizio negativo, si fermavano a ripetere l’anno scolastico ritenuto dai loro insegnanti non sufficientemente assimilato. È un sistema basato sulla volontà di scremare i gruppi classe per estrarne i soggetti più adatti allo studio. Dagli anni Settanta del secolo scorso è maturata un’idea di scuola diametralmente opposta: finalità prioritaria della scuola è accompagnare lo sviluppo cognitivo di tutti i bambini attraverso attività logiche, linguistiche, motorie, artistiche adeguate al grado di maturazione dei bambini, ai loro stili di apprendimento e alle loro possibilità in termini di energie psico-fisiche. Ciò deve avvenire in un ambiente sereno e stimolante. La bocciatura nella scuola primaria viene vietata per legge. Ne consegue un concetto di valutazione non più selettivo ma descrittivo. La ‘pagella’ non serve più a stabilire in che posizione un alunno sia rispetto al programma ma a fornire alla famiglia informazioni sul percorso che il bambino sta facendo e su cosa può favorire il suo procedere. Per questo motivo viene meno il valore del voto, ‘ottimo’, ‘sufficiente’, eccetera; il ‘giudizio globale’ diventa il termometro dell’andamento scolastico, cioè l’illustrazione più completa possibile di come un bambino vive la scuola e quali apprendimenti riesce a far suoi per mezzo di questo servizio pubblico. Nonostante ciò, il voto del sistema scolastico selettivo sopravvive anche se privo della sua funzione: premiare o punire attraverso promozione o bocciatura. Qualche danno lo crea anche così e non si capisce perché venga conservato anche quando è in evidente contrasto con i valori che la scuola vuole difendere e promuovere. Alcuni motivi”.
1) Crea ansia sia nei bambini che negli insegnanti. I primi vivono gli impegni scolastici con nervosismo quando gli si dice che ciò che fanno avrà un voto. I secondi allestiscono un carosello di verifiche compulsive (uguali per tutto l’istituto per sembrare più oggettive) che tolgono tempo al vero far scuola. Ciò è contro il principio di una scuola ambiente sereno di apprendimento.
2) In certi casi il voto condiziona i rapporti familiari: se prendi così avrai cosà, se prendi cosà avrai così. Ci sono addirittura bambini che sostengono di esser stati picchiati per i voti presi. Fosse vero, basterebbe questo a eliminare tale pratica (e magari a introdurla per i genitori che prendono in tal modo la valutazione scolastica).
3) Il voto crea una malsana concorrenza fra bambini la quale non giova a quella socialità che la scuola deve prioritariamente favorire. Dopo la distribuzione delle schede è un continuo elencare quanti buoni, quanti distinti e quanti ottimi ricevuti per confrontarli con quelli accumulati dagli altri e poi arrivare alla derisione di chi ne avuti meno o non ne ha avuti affatto.
4) Il voto è una di quelle abitudini date per scontate, non si mettono in discussione: è paesaggio scolastico. Un qualcosa di assoluto, non a caso è termine, così come “giudizio”, proveniente dal vocabolario religioso. Un rito.
5) È una di quelle cose che dividono la scuola dalla vita reale: nessuno per il suo lavoro viene ricompensato o mortificato del proprio impegno, della propria responsabilità, della propria buona volontà con un numero o un aggettivo. Gratificazioni e delusioni vengono dal riscontro economico, dalla soddisfazione personale, dal riconoscimento sociale.
6) Il voto, come detto sopra, non è collegato allo svolgimento del percorso scolastico, è ininfluente: un alunno potrebbe avere solo insufficienze ed essere promosso come l’alunno che ha solo ottimi voti. Dunque il voto non stimola a far meglio. Si farebbe più bella figura a non dare voti o almeno a non raccomandarli come indice di successo scolastico.
Poiché sono tenuto per contratto a compilare la scheda in ogni sua parte, il mio rifiuto del voto ‘selettivo’ consiste nell’assegnare ‘buono’ a tutti gli alunni. Del resto tutti i bambini che frequentano la nostra scuola lo fanno con un atteggiamento positivo, ognuno dà ciò che può a seconda delle sue possibilità. Non c’è nessun genio (o perlomeno non si è ancora manifestato), nessun secchione che si rovina la salute sui manuali scolastici così come non c’è nessun Lucignolo che programma e persegue il proprio totale rifiuto della scuola. Persone in gamba, buoni bambini insomma.
Per questo anche quest’anno gli alunni di questa scuola ricevono dal sottoscritto insegnante prevalente il voto ‘buono’ per le singole discipline. Nel giudizio globale troverete le informazioni fondamentali riguardanti la vita scolastica dei vostri figli. Ogni profilo è personalizzato per ogni alunno e mira a valorizzare i progressi fatti”.
In sede di scrutini questa modalità docimologica è sempre stata approvata (pur senza condividerla) da tutti i colleghi e da tutti i dirigenti scolastici tenuti a presiedere il consiglio di classe che redige schede di valutazione e relativo verbale.