Ma che tempo farà?

Incontro con Fulvia Antonelli e Mimmo Perrotta
Federico Grazzini è meteorologo e vive e lavora tra Emilia-Romagna e Monaco di Baviera. All’attività di ricerca unisce quella di divulgazione; ha pubblicato ad esempio, con Sergio Rossi, il libro Fa un po’ caldo. Breve storia del riscaldamento globale e dei suoi protagonisti (Fabbri, 2020). L’abbiamo incontrato per farci spiegare gli eventi meteorologici estremi avvenuti nell’estate 2021 e per discutere di transizione ecologica.
La questione climatica è nota, il riscaldamento globale è in atto, dovuto – questo è ormai certo – all’attività umana, alle emissioni di gas serra, che sono la conseguenza di tutte le nostre attività, in particolare l’utilizzo dei combustibili fossili, che vanno ad alterare l’atmosfera. L’attività umana sta immettendo in atmosfera una grande quantità di carbonio che era stata sequestrata in milioni di anni dai cicli naturali: questo carbonio era stato depositato nel sottosuolo e adesso viene rimesso nell’atmosfera sotto forma di “gas serra” come l’anidride carbonica e il metano. Stiamo quindi ripristinando un’atmosfera primordiale, più calda perché in grado di trattenere più energia proveniente dal sole, questo è l’aspetto fisico centrale.
L’aumento della temperatura provoca poi tutta una serie di effetti, per questo si parla di cambiamento climatico: sulla circolazione atmosferica stessa, per esempio sulla variazione della frequenza degli eventi estremi, ma anche sull’oceano, sugli ecosistemi, fino ad arrivare agli effetti sulla nostra società. Capire questa enorme catena di fenomeni che sono legati fra di loro è un passo che deve essere fatto per arrivare alla comprensione delle cose, altrimenti si parla solo di fatti singoli. È necessario avere una visione molto ampia perché il riscaldamento globale e il cambiamento climatico che ne consegue hanno un effetto trasversale su tutti gli aspetti della nostra società. È difficile agire per pezzi singoli.
Gli eventi climatici estremi vengono spesso comunicati in maniera erronea o parziale. Quando parliamo di riscaldamento globale, ci si riferisce alle temperature medie globali, ma è ovvio che questo è solo un indice. La temperatura media globale non si può misurare, si misurano le temperature in varie parti del pianeta e poi si fanno delle medie. Se si parla di 1,2-1,3 gradi di aumento della temperatura globale rispetto all’era pre-industriale, che è il punto a cui siamo ora, è importante capire che gli effetti di questo aumento sono diversi in diversi luoghi della terra. In alcuni, vi sono aumenti assai più forti e variazioni sostanziali. Più che pensare all’aumento medio di un grado, dobbiamo osservare localmente cosa succede. Questo aumento di un grado è spesso il frutto di un forte aumento degli eventi estremi in varie parti del globo. Questa estate è stata l’ennesima stagione in cui il numero di eventi che hanno battuto i precedenti record è stato incredibile: l’ondata di calore in Canada, fino a 48 gradi, che è fuori da ogni scenario futuro di cambiamento climatico (non si prevedeva un’ondata di calore di quel tipo neanche per il 2050 o per il 2100); le alluvioni in Germania, Belgio e Olanda; piogge e grandinate intense sull’arco alpino; un’ondata prolungata di caldo con valori record in Sicilia, in Sud Italia, ma anche nel Nord Africa (Tunisi ha toccato i 50 gradi, e non è normale); l’uragano Ida in Louisiana (gli uragani sono un fenomeno ricorrente, ma la cosa anormale è che su una scala di intensità da uno a cinque questo è passato da categoria uno a categoria quasi cinque in un giorno, e ciò ha reso difficile l’evacuazione di milioni di persone).
Questi fenomeni sono preoccupanti per l’intensità e per la rapidità con la quale si succedono: di solito pensiamo che l’adattamento al cambiamento climatico è qualcosa che va fatto nell’ordine dei venti-trent’anni, ma se il ritmo è questo diventa tutto molto più urgente. Per fare un esempio: in Sicilia non è normale che per giorni e giorni si siano superati i 40 gradi durante il mese di agosto – probabilmente si è toccata la temperatura massima mai registrata in Europa, 48,8 gradi, anche se questo “record” deve essere ancora validato – mentre, anche nelle zone interne, più calde, la temperatura media massima in quel periodo dovrebbe essere intorno ai 32-33 gradi. Ora, queste temperature così alte si avvicinano pericolosamente anche ai limiti di esercizio delle nostre apparecchiature elettroniche, che è tra 50 e 60 gradi, mentre 60 gradi è il limite sopra il quale proprio non funzionano, a meno che non siano espressamente progettate per funzionare ad altissime temperature. Infatti in Sicilia quest’estate ci sono stati blackout, problemi di potabilizzazione dell’acqua, auto che non partivano, cose di cui i giornali non hanno parlato molto. Questo ci indica che non si tratta solo di avere più o meno caldo: gli eventi estremi potrebbero presto non essere più gestibili dalla società come l’abbiamo concepita in questi ultimi anni.
Tra gli addetti ai lavori sta maturando anche una certa ansia rispetto a questo, perché non ci si può più basare su quello che è successo negli ultimi cento anni per avere un campionario degli scenari futuri. Questo non vale più, ci possono essere eventi che non sono mai capitati prima, è difficile valutare quale possa essere l’intensità massima di un’ondata di calore o di pioggia, perché è fuori dalla nostra esperienza di storia climatica misurata con i dati.
Questa accelerazione, questo aumento nel numero degli eventi estremi, è particolarmente forte dalla metà degli anni 2000. Non sono del tutto chiare le motivazioni di questa accelerazione. Una delle ipotesi più probabili riguarda il ruolo degli oceani. L’oceano è un grande assorbitore del calore in eccesso che rimane intrappolato nell’atmosfera: circa il 90% dell’energia che viene intrappolata dall’atmosfera per il fatto che ci mettiamo più CO2, è stata assorbita dagli oceani. Ora, l’oceano ha una grande inerzia, ci mette molto a scaldarsi ma poi ci mette anche molto a raffreddarsi e probabilmente da metà degli anni 2000 è iniziata una fase in cui anche l’oceano ha cominciato a cedere calore e vapor d’acqua e questo ha contribuito a una accelerazione degli eventi estremi.
Un altro indice preoccupante riguarda il susseguirsi di anni caldi: i cinque anni più caldi mai registrati a livello globale si sono verificati tra il 2015 e oggi, con 2016, 2020 e 2019 nelle prime tre posizioni, secondo l’Organizzazione Meteorologica Mondiale. Questo indica che le anomalie non sono casuali, c’è un forte riscaldamento in atto e il recentissimo sesto rapporto dell’Ipcc prende atto di questo, con affermazioni molto nette sulle conseguenze catastrofiche di una mancata riduzione delle emissioni.
Incendi
Una delle cause degli incendi è la presenza sul terreno di materiale altamente infiammabile. I vegetali, se sono in buono stato di salute, contengono una buona percentuale di acqua, quindi la loro infiammabilità non è molto alta, ma se sono in stress idrico la percentuale di acqua è molto bassa; a creare le situazioni di stress sono le alte temperature e le prolungate siccità. Un albero resiste bene alla siccità di qualche mese, perché ha radici profonde ma, se la siccità si ripete di anno in anno, comincia ad andare in sofferenza. Questo è quello che sta succedendo. La California storicamente ha sempre sofferto gli incendi, ma negli ultimi anni stanno diventando sempre più vasti, perché aumenta la temperatura e aumentano i periodi di siccità. Talvolta l’innesco è dovuto ai fulmini, si tratta di un fenomeno naturale. Nel Nord America, i boschi di abeti sono più soggetti a questo tipo di innesco, mentre per i nostri boschi di faggio è molto più difficile, perché non raggiungono mai lo stesso grado di secchezza che possono raggiungere le conifere, tranne in condizioni particolari. In Italia gli incendi sono tutti di origine umana, dolosi o per disattenzione.
Vale però la pena approfondire questo aspetto: nelle regioni semiaride, come il Mediterraneo e la California, è vero che aumenta la temperatura e quindi potenzialmente c’è più vapor d’acqua in atmosfera, ma l’aumento della temperatura determina una riduzione delle piogge, soprattutto nella stagione calda. Potenzialmente c’è più acqua in atmosfera, ma di fatto in estate non si formano nubi perché la massa d’aria è troppo calda, non riesce a raggiungere condensazione, e quindi non piove. Tutte le regioni semiaride si espandono verso nord, nel caso del Mediterraneo sostanzialmente le coste dell’Africa del Nord stanno conquistando il Sud Europa, in senso climatico. Però quando in autunno la temperatura si abbassa, allora quella energia potenziale accumulata come vapor d’acqua viene rilasciata sotto forma di rovesci fortissimi; quindi piove di meno ma più intensamente. Questo è un problema non indifferente.
La mancanza di pioggia d’estate rappresenta un problema anche per la nostra vegetazione, se fate un giro anche nelle colline ci sono tantissimi alberi sofferenti, alcuni in agosto hanno fatto già cadere le foglie; ovviamente hanno tantissime strategie per sopravvivere, però questo significa che stanno male, che c’è sofferenza, che la vegetazione è secca. Per questo il rischio di incendi anche in Italia è definito altissimo. Gli incendi non partono da soli ma è molto più semplice appiccarne uno in questa situazione rispetto a condizioni di suolo bagnato. Quindi va bene focalizzarsi sull’aspetto doloso, però è necessario essere consapevoli delle condizioni che rendono possibile questa forte esplosione di incendi e la loro propagazione. Sappiamo che in Italia, sull’Appennino, i boschi si stanno espandendo e ne siamo contenti, ma se non ci sono persone che ci abitano, se non c’è qualcuno a gestirli, possono rappresentare un rischio in queste condizioni. Il materiale infiammabile diventa enorme. Il bosco è sempre una risorsa, che però va gestita.
La consapevolezza del cambiamento in atto
Per capire i motivi per i quali è difficile prevedere questa escalation di eventi estremi è necessaria una premessa su come funziona la scienza del cambiamento climatico, che strumenti abbiamo per fare questi scenari e queste previsioni. Sono tanti i fenomeni che possono modificare il clima, ad esempio le grandi catastrofi planetarie e la variazione delle orbite, ma sono tutte cose lente. Poi, con la grande industrializzazione, si è scoperto che l’uomo poteva influire sulla composizione dell’atmosfera e quindi anche sul clima. I primi studi risalgono al 1800 ma, per raggiungere una piena consapevolezza di quanto fosse l’impatto netto potenziale della nostra attività, arriviamo alla fine degli anni ’70, perché dal secondo dopoguerra e poi con l’avvento dei calcolatori e con la maturazione della scienza della meteorologia, delle previsioni del tempo, si è arrivati alla costruzione di modelli matematici che funzionano ottimamente per prevedere il tempo meteorologico. Si è capito che le stesse basi matematiche potevano funzionare anche per simulare scenari futuri di variazioni climatiche, anche se con le necessarie ulteriori semplificazioni e distinguo. Infatti al momento non disponiamo della potenza di calcolo necessaria per realizzare simulazioni così accurate come quelle che si usano per le previsioni del tempo, su scale centennali. Questo spiega il perché con queste simulazioni non riusciamo a vedere esattamente questi eventi estremi. È possibile derivare in senso statistico l’aumento degli eventi estremi a partire dall’aumento medio della temperatura globale, ma non si possono simulare nel dettaglio con un modello climatico gli eventi che per esempio abbiamo visto questa estate.
Peraltro, bisogna ricordare che già nel 1979 il rapporto Charney fece delle simulazioni molto accurate dell’aumento medio delle temperature. In quegli anni, la CO2 nell’atmosfera ammontava a 330 parti per milione e il rapporto stimò che per un raddoppio della CO2 ci sarebbe stato un aumento della temperatura di tre gradi. Oggi siamo a 412 parti per milione e se continuiamo così le previsioni del rapporto Charney si avvereranno nel 2060. La cosa interessante è che quel rapporto fu commissionato dal governo degli Stati Uniti: quindi gli Stati e le grandi compagnie petrolifere già a quel tempo sapevano benissimo cosa sarebbe successo, come ricostruisce il libro di Nataniel Rich, Perdere la terra (Mondadori, 2018). A un certo punto sembrava che ci fosse un movimento, una conoscenza in grado di imporre un cambiamento nel tipo di sviluppo, invece poi negli anni Ottanta ha prevalso la linea di sfruttamento totale dei combustibili fossili e da lì non si è più tornati indietro. Se avessimo agito in quel momento sarebbe stato molto più semplice alimentarci pian piano con altre energie, non crescere così come siamo cresciuti. Invece ora è necessario farlo in vent’anni, è una sfida pazzesca e il mercato è ancora in espansione. Sentiamo dire che è necessario rilanciare l’economia e riprendere i commerci dopo il Covid, ma questo è in totale contrasto con quanto dovremmo fare; la transizione energetica non può prescindere anche da una riduzione della produzione e dei consumi.
La mia sensazione è che in Italia manchi totalmente una discussione ampia sulla transizione: se vogliamo farla davvero, non possiamo focalizzarci sui singoli aspetti o sulle singole tecnologie, tutto deve essere compatibile con questa transizione. Non basta fare delle cose per fare la transizione, ma bisogna non fare quelle cose che la transizione impediscono di farla. E questa discussione è assente.
Tra Germania e Italia: quali politiche
Vivendo tra due città, Monaco di Baviera e Bologna, io vedo che a Monaco, in Germania, la discussione su questi temi è continua, non si limita ai giorni che seguono gli eventi estremi. A Monaco sono in corso dei lavori importanti per passare al riscaldamento geotermico in gran parte della città; ci sono grandi cantieri nelle strade per mettere tubi ovunque. Questo è possibile perché nella città di Monaco il controllo dei beni primari – acqua, energia, telecomunicazioni, trasporti – è in mano al 100% al Comune. Quindi se il Comune decide di fare il riscaldamento geotermico può farlo, perché controlla al 100% la multiutility. Il governo dei beni primari è essenziale, perché la transizione passa da quelli; le grandi città italiane invece hanno privatizzato e frammentato i beni primari.
Un’altra lacuna importante che abbiamo in Italia è la mancanza di una agenzia nazionale di meteorologia. Questo è strano sapendo quanto l’Italia sia esposta ai cambiamenti climatici e agli eventi estremi, più di altre nazioni europee. Storicamente c’era il servizio meteorologico nazionale, dell’aeronautica militare, poi sono nati i servizi regionali. Ma la previsione degli eventi estremi è diventata oggi strategica ed è necessario potenziare il servizio meteorologico, così come gli altri servizi tecnici, per la gestione dei bacini, dei fiumi, dei territori. L’agenzia nazionale di meteorologia, dopo anni di gestazione, sta faticosamente partendo, anche se purtroppo con un budget molto ridotto, trasferendo parte del personale dei servizi regionali nella struttura centrale. In altri Stati un servizio del genere normalmente è composto da 1000/1500 persone, per coprire tutte le questioni, e con l’impostazione attuale noi faremo molta fatica ad avere una tale dotazione di personale. Tutto è considerato a compartimenti stagni e non c’è la capacità di dare un’impronta generale verso una strada di cambiamento. Manca una visione di lungo termine sistematica.
Pezzi importanti che compongono i vari tasselli della transizione energetica non le puoi lasciare all’amministratore delegato di turno, che so, dell’Eni, che fa il suo lavoro e deve fare business, fa un contratto, strappa un prezzaccio sul gas e poi lo deve vendere. In Germania c’è una discussione più alta a livello politico, anche se non mancano le contraddizioni: usano ancora tanto carbone e hanno da poco deciso di raddoppiare il gasdotto Nord Stream che porta il gas dalla Russia, ma hanno fissato già molti paletti con una data precise per la decarbonizzazione, ad esempio hanno deciso che al 2035 sarà vietata la vendita di nuove auto diesel e benzina.
Il ruolo delle amministrazioni locali è importantissimo. A Monaco ad esempio all’inizio degli anni 2000 è stato avviato un grande piano di rinaturalizzazione del fiume Isar, che attraversa la città, con l’obiettivo di mantenere la sicurezza idraulica del fiume, ma anche di renderlo più fruibile, di migliorare la qualità dell’acqua e la biodiversità. Il piano ha funzionato, perché oggi è possibile muoversi sul fiume, in bici o a piedi, da nord a sud della città, senza interruzioni, senza attraversare nessuna strada, ed è affollatissimo. Questo consente alle persone di uscire di casa e avere del verde, un grande spazio comune dove non è obbligatorio consumare, anche per i meno abbienti o per i gruppi di migranti, raggiungibile senza auto. E non dimentichiamo che in Baviera i centri commerciali di domenica sono chiusi. Questo crea anche quella sensibilità diffusa e socialmente trasversale che porta poi al fatto che in Germania il partito dei Verdi ha un elettorato così vasto e una candidata che potrebbe diventare cancelliera. Io credo molto nel ruolo delle amministrazioni locali nel guidare le scelte dei cittadini.di casa e avere del verde, uno spazio comune, anche per i meno abbienti o per i gruppi di migranti. E non dimentichiamo che in Germania i centri commerciali di domenica sono chiusi. Questo crea anche quella sensibilità che porta poi al fatto che in Germania il partito dei Verdi ha un elettorato così vasto e una candidata che potrebbe diventare cancelliera. Io credo molto nel ruolo delle amministrazioni locali nel guidare le scelte dei cittadini.
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