Le Sardine: pregi e difetti

Le Sardine nascono da una incapacità di dormire la notte. Quattro giovani trentenni, Mattia Santori, Andrea Garreffa, Giulia Trappoloni e Roberto Morotti, ex studenti universitari, ex coinquilini rimasti amici nonostante facciano tutti lavori diversi – consulente in una società che si occupa di ambiente, guida turistica, ingegnere, fisioterapista – non ci hanno dormito la notte all’idea che Salvini avrebbe inaugurato a Bologna il 14 novembre del 2019 la campagna elettorale della candidata della Lega alle regionali in Emilia Romagna, Lucia Borgonzoni. Il raduno della Lega era previsto al Paladozza, il palazzetto casa dello sport più simbolico di Bologna, il basket: 5.570 posti a sedere.
E sempre perdendo ore di sonno – e quindi dopo il lavoro – il gruppo di amici ha deciso di fare qualcosa, una cosa artigianale, leggera, accessibile a tutti e un po’ “smart” come si dice di questi tempi: un flashmob. Il flashmob è una manifestazione veloce, quando non hai tanto tempo, una cosa che fai dopo il lavoro, che non implica una forte organizzazione, un tipo di azione che in Italia assume spesso una valenza politica, è insomma una protesta contro qualcosa. Negli Stati Uniti, da dove la pratica si è diffusa, il primo e più famoso flashmob è il No pants subway ride, che consiste nell’andare in metropolitana in mutande d’inverno, in un giorno e in un momento stabilito via social. Non c’è un messaggio o uno scopo preciso, è una celebrazione della stupidità: molti stupidi in mutande possono così riconoscersi fra stupidi e, in una città grande come New York, trovare qualcosa in comune con altri dà un bel senso di appartenenza. American way of life.
Quando invece nel 2016 è stato realizzato a Mosca, è scattata un’inchiesta, anche se non si è riusciti a identificare chiaramente un reato nella condotta dei partecipanti, che in alcuni casi i partecipanti sono stati fermati e multati: segno che a volte le forme e i contenuti di una azione condotta da un gruppo di persone nello spazio pubblico sono più o meno radicali non in sé, ma a seconda del grado di repressione dall’alto che capita di ricevere.
Il flashmob non ha un messaggio, una lista di richieste e di petizioni, spesso è una manifestazione muta, ha la caratteristica di essere improvvisa, si diffonde nel mondo parallelo dei social, si serve del passaparola e, secondo la teoria dei sei gradi di separazione, di post in post la notizia arriva anche a persone che non sono in contatto fra di loro, anche se in qualche modo si assomigliano o hanno qualcosa in comune.
Perché un flashmob funzioni, poiché il centro dell’azione non è una piattaforma politica, ma è più l’espressione di una collettività che in qualche modo si coalizza attorno a qualcosa, è necessario che ci sia un simbolo, uno sfondo integratore comune, possibilmente qualcosa di accattivante e creativo, che può essere declinato in modi diversi dalle persone che aderiscono alla manifestazione-performance. Da qui l’immagine delle sardine: un pesce piccolo, alla base della catena alimentare, popolare, che si muove in branco, la cui sagoma è facilmente riproducibile. E allora per i quattro amici la sfida lanciata è stata quella di essere in 6mila persone stipate come sardine nella maggiore piazza di Bologna, al centro della città e della visibilità pubblica.
E chi è andato in piazza con le Sardine? Per certi versi le infinite varianti dei quattro amici insonni: giovani trentenni, ma anche i fratelli più piccoli, i loro genitori e qualcuno dei loro nonni
E chi è andato in piazza con le Sardine? Per certi versi le infinite varianti dei quattro amici insonni: giovani trentenni, ma anche i fratelli più piccoli, i loro genitori e qualcuno dei loro nonni; ci sono andati insegnanti, educatori, volontari e attivisti del mondo dell’associazionismo e del volontariato; ci sono andate le famiglie che accolgono ragazzi migranti dentro le reti dell’accoglienza diffusa; gente che fa volontariato nella Caritas o nelle organizzazioni religiose, spesso persone silenti, che non alzano la voce, ma che nelle loro vite sono abituate a piccoli atti quotidiani di solidarietà. Insomma in piazza con le Sardine sono andati tutti coloro che – esponenti di una classe media con una certa coscienza civile, un certo grado di attivismo nel sociale, una buona istruzione, un livello di reddito medio/buono – sono inorriditi dai toni e dal livello della politica attuale, di cui Salvini è il più rocambolesco esponente: una sorta di incarnazione di un personaggio dei cinepanettoni a ogni stagione; che si traveste da uomo del popolo; feticista delle divise; che spara cifre, numeri e dati senza alcun fondamento; che dice sempre “gli italiani pensano”, “gli italiani dicono”, “gli italiani vogliono o non vogliono”, la cui immagine pubblica è quella di un leader a torso nudo in spiaggia, mentre fa il dj set con al collo un tao della prima comunione che si perde nel villoso petto.
È vero che le Sardine, di là dalle non appartenenze politiche dichiarate, sono politicamente identificabili? Certo che è vero, si identificano in un’area più che in un partito, l’area di una sinistra che riconosce e non contesta le istituzioni in sé, che non ha all’orizzonte il sol dell’avvenire ma il buongoverno, che vede nell’immigrazione un fenomeno sociale naturale e non una calamità, che si interessa della qualità della vita soprattutto nelle città. Insomma i quattro amici non erano seduti al bar perché volevano cambiare il mondo e rischiano di non saper uscire dal campo di quel neoliberismo progressista di cui parla Nancy Fraser, interessandosi quindi a politiche del riconoscimento sui temi dei diritti di cittadinanza e non parlando, se non in modo generico, di disuguaglianze, di economia e di sistemi di produzione e consumo. Alla politica chiedono un linguaggio più riflessivo, più sommesso, più serio, ed è alla politica formale che si svolge all’interno delle istituzioni che chiedono soluzioni. Ed è per questo che vogliono riportare al voto le persone.
Il risultato delle Sardine sono state 15mila persone in piazza Maggiore il 14 novembre e una incredibile serie di piazze piene in tutta Italia dal Nord al Sud mobilitate attraverso una sistema organizzativo semplice e dietro l’immagine di un pesce. In Emilia Romagna l’effetto delle Sardine è stato un certo risveglio di interesse per una competizione elettorale affascinante come una partita di ping pong: da una parte la solita esaltazione piena di strafalcioni dei candidati della Lega oscurati dall’ipervisibilità di Salvini, dall’altra un candidato del Pd, il presidente uscente Stefano Bonaccini – per l’occasione reinventatosi hipster –, votato nelle precedenti elezioni del 2014 dal 49% del 37% degli elettori andati effettivamente a votare sugli aventi diritto, un candidato che in sostanza ha ottenuto circa 600mila voti contro i quasi 1,2 milioni di quelli raccolti da Vasco Errani, esponente Pd eletto presidente di regione nel 2010.
È inutile chiedere alle Sardine un programma politico, una prospettiva, rivendicazioni più concrete, una forma organizzativa duratura
È inutile chiedere alle Sardine un programma politico, una prospettiva, rivendicazioni più concrete, una forma organizzativa duratura: rappresentano piuttosto il modo in cui un certo numero di persone, socialmente caratterizzate più da come impiegano il loro tempo libero che dai lavori che fanno, ha deciso di fare pressione su un’area politica, la sinistra dentro le istituzioni, perché di fronte a Salvini si smetta di subire la sua prosopopea o di rincorrerlo sui suoi stessi argomenti. Il tutto dentro una prospettiva che rischia di essere funzionale al neoliberismo progressista che salva l’anima e il capitalismo e che perciò può piacere molto a quelle aree politiche in cerca di una rifondazione identitaria che al proletariato brutto, sporco e cattivo sostituisca come base elettorale un soggetto sociale più presentabile, più disposto a patteggiare maggiori diritti civili in cambio di minore uguaglianza economica e più colluso con il potere degli immaginari creati dai nuovi media. Si parla forse per questo fra le Sardine di migranti non in termini di lavoratori (quali sono, una forza lavoro ad alto livello di sfruttamento) ma di rifugiati e richiedenti asilo; di giovani e non di una generazione di precari laureati sottoimpiegati che inizia a lavorare verso i 27 anni e che a 40 anni è ancora giovane perché non può permettersi di diventare adulta; di ascolto, empatia e non di welfare; dei valori fondamentali del vivere civile e democratico ma non dei diritti sociali che danno corpo reale alla nozione di vivere civile, come il diritto alla casa.
È forse questa la differenza tra un movimento che critica le istituzioni e in alcuni casi confligge con esse e un movimento che invece le esorta ad agire con più efficacia.
Certo Salvini ancora una volta risulta una figura fondamentale per ricompattare contro un nemico comune gruppi di persone che hanno idee anche molto diverse su alcuni temi, ma che comunque rifiutano l’estremismo del linguaggio della Lega, le pose da fascistelli di molti dei suoi esponenti e la contrapposizione che essa inventa fra presunti italiani onesti e lavoratori – che fa finta di rappresentare – e gli altrettanto immaginari italiani ricchi, furbi e radical chic e gli immigrati tout-court – ai quali si contrappone.
Perché chiedere allora alle Sardine qualcosa che non possono dare – soluzioni – e non riconoscergli – dietro l’accusa di ingenuità, impoliticità, dilettantismo – che sono l’espressione dell’azione politica di un gruppo di cittadini e di un’area sociale? Certo nelle periferie e nelle province d’Italia dove immigrati e italiani vivono fianco a fianco e condividono i problemi della casa, della precarietà dei lavori a bassa qualifica, di servizi di welfare di scarsa qualità, di problemi e conflitti culturali lasciati agire senza mediazioni, dell’appropriazione e del controllo da parte di organizzazioni criminali di interi pezzi di città lasciate all’abbandono (vedi Roma), in quei posti insomma dove non arriva la gentrification, molti degli aventi diritto al voto probabilmente non andranno a votare o voteranno Salvini. Le Sardine non sono un movimento di “andata al popolo”, tuttavia quel popolo non lo vedono come un nemico né come un corpo estraneo alla società. Forse è un rinnovamento della solidarietà fra strati diversi della società che le Sardine stanno indicando come obiettivo politico a un’area di sinistra persa fra grandi opere, sviluppismo e vie della seta, strategie alla Minniti di controllo dell’immigrazione, turistizzazione delle grandi città ed egoismi regionalisti?
In piazza gli organizzatori a Bologna avevano proposto di cantare Com’è profondo il mare di Lucio Dalla, una canzone che in modo molto poetico e decisamente criptico parla del coraggio del dissenso, della libertà di pensiero e della muta presenza di chi non si fa recintare e sfugge alle reti del potere inteso anche come pensiero dominante.
A Bologna, e in molte altre città italiane, poi invece la piazza ha cantato Bella ciao, la canzone simbolo della Resistenza e dell’antifascismo. In altre città i manifestanti hanno voluto cantare anche l’Inno di Mameli, per ribadire forse che la destra non può avere il monopolio della rappresentazione dell’intero paese e della sua identità.
I ragazzi dei centri sociali a Bologna – socialmente non diversi dalle Sardine ma certo portatori di estetiche e usi del tempo libero diversi – durante la manifestazione che ha avuto luogo il 14 novembre in parallelo a quella delle Sardine contro Salvini, cantavano 90min di Salmo. La canzone è una critica feroce a ritmo di rap a una Italia ipocrita e razzista che sembra un aereo sul punto di schiantarsi e che in uno dei suoi versi fa: “Lottando in un mare di odio, affogati dai nostri rimorsi/ Dio non l’ho visto ma ci conosciamo/ Odio la Chiesa ma sono cristiano/ Prima di essere un vero italiano, cerca di essere umano”.
Le azioni sociali collettive sono imprevedibili, il loro apparire è sempre spettacolare, per questo le Sardine hanno attirato l’entusiasmo anche dei media internazionali, a tal punto che anche l’icona del rock Patti Smith in visita in Italia ha tenuto un suo concerto con una sardina cucita sulla giacca, “sardine have the power!”. Spesso però questo tipo di azioni hanno un ciclo di vita molto fugace e non diventano movimenti sociali che cambiano le cose se non trovano terreni e rivendicazioni chiare su cui radicarsi. Certo i giovani protagonisti di queste piazze hanno identità e immaginari inaspettati, ma nemmeno Spotify avrebbe potuto creare una playlist così variegata.
Disegno tratto da Sniff di Antonio Pronostico e Fulvio Risuleo (Coconino press 2019)