La fatica, la morte, la malattia

Tra gli indiani dell’America del Sud v’è la seguente leggenda:
Dio, essi dicono, in un primo momento creò gli uomini in modo che non avessero bisogno di lavorare, e gli uomini non avevano bisogno né di case, né di abiti, né di cibo, e vivevano tutti fino a cento anni e non conoscevano alcuna malattia.
Trascorse un po’ di tempo e quando Dio guardò come vivevano gli uomini, vide che invece di gioire della propria vita, ognuno pensava per sé, litigavano tra di loro e si erano organizzati la vita talmente male, che non soltanto non ne giovano, ma la maledicevano.
Allora Dio disse: è così perché vivono ciascuno per conto proprio, ciascuno per sé.
E perché ciò non fosse, Dio fece in modo che gli uomini non potessero vivere senza lavorare, che dovessero, per non patire freddo e fame, costruirsi una casa, lavorare la terra, coltivare e raccoglierne i frutti e le messi.
Il lavoro li unirà, pensò Dio: da solo uno non può spaccare la legna, trasportarla e costruirsi una casa, da solo uno non può prepararsi gli attrezzi, seminare, raccogliere, filare, tessere e cucire i vestiti. Dovranno capire che quanto più lavoreranno in concordia, tanto migliore sarà il risultato e tanto meglio vivranno. E questo li unirà.
Passò ancora qualche tempo e Dio venne di nuovo a vedere come vivevano gli uomini.
Ma gli uomini vivevano peggio di prima.
Lavoravano insieme (non si era potuto fare diversamente), ma non tutti insieme, si erano bensì divisi in piccoli gruppi, e ogni gruppo cercava di portare via agli altri il frutto del loro lavoro, e tutti si intralciavano l’un l’altro, sprecavano tempo e forze nella lotta, e stavano tutti male.
Vedendo che anche così non era bene, Dio decise di fare in modo che gli uomini ignorassero l’ora della propria morte e potessero morire in qualsiasi momento. E comunicò loro che così sarebbe stato. Ora che sanno che ciascuno di loro può morire da un momento all’altro, pensava Dio, smetteranno di andare in collera l’un con l’altro per questa loro vita che può cessare in ogni istante, e non vorranno più guastarsi le ore di vita che sono loro predestinate.
Ma non fu così. Quando Dio tornò a vedere come vivevano gli uomini adesso, vide che la vita degli uomini non era migliorata. Quelli più forti, approfittando del fatto che gli uomini possono morire in qualsiasi istante, avevano sottomesso i più deboli, uccidendone alcuni e minacciando di morte gli altri. E ora vivevano in maniera che solamente i forti e i loro discendenti non lavorassero mai. Si immalinconivano nell’ozio, mentre i deboli lavoravano contro voglia e si immalinconivano, perché non potevano mai riposarsi. E tutti si odiavano a vicenda. E la vita degli uomini era divenuta ancor più sventurata.
Vedendo ciò, Dio, per porvi rimedio, decise di ricorrere a un mezzo estremo; mandò tra gli uomini malattie di ogni genere. Dio pensava che quando tutti gli uomini fossero stati soggetti alle malattie, allora avrebbero capito che i sani devono compatire i malati e assisterli, così che quando saranno loro ad ammalarsi, chi è sano li assista.
E ancora una volta Dio lasciò gli uomini, ma quando tornò a vedere come vivevano adesso, vide che da quando erano soggetti alle malattie, la loro vita era diventata ancora peggiore.
Quelle medesime malattie che nell’intenzione di Dio avrebbero dovuto rinsaldare i legami tra gli uomini, avevano invece generato ancor maggiore divisione. Gli uomini, gli stessi che avevano costretto con la forza gli altri a lavorare al posto loro, li costringevano adesso con la forza ad accudirli quando si ammalavano e dal canto loro non assistevano mai i malati. Quelli invece che erano stati costretti a lavorare per gli altri e ad accudire i malati erano talmente stremati dal lavoro che non avevano tempo di accudire i loro malati e li lasciavano senza soccorso alcuno.
Perché poi la vista dei malati non turbasse i piaceri dei ricchi, per i malati avevano costruito delle case in cui questi soffrivano e morivano senza che nessuno li compatisse, affidati a gente mercenaria che li accudiva non soltanto senza alcuna pietà, ma provandone ribrezzo.
A parte questo, gli uomini avevano dichiarato contagiose un gran numero di malattie e temendo di infettarsi non soltanto non si avvicinavano ai malati, ma si tenevano lontani persino da quelli che con i malati avevano a che fare.
Allora Dio disse tra sé: se neppure con questo mezzo si può far comprendere agli uomini in cosa consista la loro felicità, ci arrivino da soli, a forza di tormenti.
E Dio lasciò gli uomini soli.
E rimasti soli, gli uomini vissero a lungo senza comprendere che potevano e dovevano essere felici. E soltanto negli ultimi tempi alcuni di loro cominciarono a capire che la fatica non doveva essere spauracchio per alcuni e galera per gli altri, bensì un’impresa comune e gioiosa che unisse gli uomini.
Cominciarono a comprendere che in previsione della morte che incombe su ciascuno in ogni momento, l’unica cosa ragionevole che ogni uomo può fare, è trascorrere gioiosamente, in amore e concordia, gli anni, i mesi, le ore e i minuti che a ciascuno sono destinati.
Cominciarono a comprendere che le malattie non soltanto non dovevano essere motivo di divisione ma, al contrario, dovevano essere motivo di comunanza d’affetto di tutti quanti gli uomini tra loro.
Titolo originale: Trud, smert’ i bolezn’ (La fatica, la morte, la malattia), tratto dalla raccolta Tri skazki (Tre fiabe), traduzione di Cristina Bongiorno.