Gli Asini - Rivista

Educazione e intervento sociale

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Il fumetto oggi

8 Giugno 2013

La prima edizione di Apocalittici e integrati fece molto scalpore, quando venne pubblicata per la prima volta nel 1964: il fumetto, secondo Eco, era a tutti gli effetti un fenomeno culturale di massa da tenere in considerazione e a cui si doveva prestare parecchia attenzione se si voleva capire la società contemporanea. Nonostante gli scetticismi di molti, la sua idea fece breccia.

Nel 2013 però ci rendiamo conto di quanto il fumetto sia ancora oggetto di discussione, e la sua definizione ancora difficile da raggiungere: una forma innovativa di sperimentazione, la nona arte, testi per bambini, un linguaggio culturale di massa, un genere di intrattenimento ed evasione, la letteratura disegnata..

Mille definizioni possibili, ognuna di esse spia dell’angolazione da cui il fumetto viene guardato. Nel momento in cui, alla parola fumetto, aggiungiamo una specificazione, parlando quindi di “fumetto di realtà”, il vecchio dibattito su questo linguaggio si allarga e inizia ad intasarsi di parole e considerazioni, spiegazioni e nuove definizioni, date di volta in volta da lettori, mercato, autori ed editori, affermati o in cerca di uno spazio che siano. Tralasciando il complesso dibattito anglosassone sull’argomento, dobbiamo pensare che, dietro espressioni come storie di impegno civile, ‘graphic journalism’, inchieste a fumetti, si nasconde un fenomeno editoriale e culturale di evidente successo, in cui il fumetto viene messo in stretta relazione con la realtà, sia essa storica o contemporanea.

Case editrici grandi e piccole di fumetto, serie classiche del fumetto d’intrattenimento, colossi dell’editoria libraria, riviste autoprodotte, militanti, musicali, giovanili o di attualità, tutti da dieci anni a questa parte hanno cercato di annoverare fra le proprie pubblicazioni una storia, un articolo, un’illustrazione che rimandi al, a questo punto felice, connubio fra fumetto e cronaca.

Ad avere il vero ruolo di primaria importanza nella struttura sono però gli autori di queste storie. E possono essere di tanti tipi: più o meno giovani, integrati o meno in un sistema culturale, con un’esperienza di produzione di storie legate alla realtà o con una professionalità maturata nell’ambito del fumetto tradizionale, tutti contribuiscono con il loro lavoro alla diffusione di un genere e alla definizione di una battaglia culturale che ha il profumo dell’impegno civile.

Ed infine ci siamo anche noi: giovani fumettisti, con in mano una serie di progetti che speriamo di vedere un giorno realizzati, per poter crescere professionalmente ma anche per trovare una porta di dialogo con una comunità sociale e umana che, seppur frammentata e spesso silenziosa, esiste, chiede strumenti di comprensione della realtà e soprattutto vuole costruire un cambiamento.

Nello scorrere degli anni e di periodi, fra loro anche molto distanti, il fumetto è stato in grado, di prendere una posizione, anche con coraggio, dando così alle nuove generazioni esempi cui ispirarsi. Sono stati tanti infatti gli autori che hanno considerato giusto ripagare la fedeltà dei propri lettori con un impegno politico forte: sia scendendo in piazza forti del proprio statuto di intellettuali e di artisti (pensiamo qui a un Guido Crepax che mise la sua matita e la sua fama al servizio della campagna di controinformazione sulla strage di Stato di Piazza Fontana) sia attraverso il lavoro quotidiano, producendo delle storie che, pur non tradendo l’intento di incantare o intrattenere il lettore, gli offrissero strumenti per capire il proprio tempo ed agire (Héctor Oesterheld pagò le storie de L’Eternauta e soprattutto la forte eco che trovavano nel suo paese finendo nella lunga lista dei desaparecidos argentini).

Per capire cos’è il ‘fumetto di realtà’ oggi bisogna concentrarsi su due possibili piste di analisi: da una parte prestare attenzione al coinvolgimento degli autori con il ‘reale’, definendo particolari stili grafici e narrativi per raccontare la Storia o il presente; dall’altra provare a capire quanto questo lavoro, l’albo o il volume acquistabili in edicola o in libreria, possano essere veramente in grado di raccontare e interpretare i cambiamenti della società, senza perdere di vista i pregi e i limiti del mezzo linguistico.

Le analisi che qui iniziamo a sviluppare – Damiano intraprendendo una riflessione sugli autori e sulla narrazione, Jacopo considerando invece l’organicità delle relazioni fra fumetto e società – vogliono essere un contributo per una discussione più generale sulle modalità di racconto del reale e di possibilità del fumetto.

La scommessa, anche per noi giovani autori, è quindi quella di parlare del nostro tempo e della nostra storia, impegnandoci per costruire una prospettiva di cambiamento, a partire appunto da un lavoro sull’immaginario.

Per esaminare la questione dal punto di vista degli autori e dell’evoluzione del linguaggio stesso, può essere utile scegliere come oggetto d’analisi tre capostipiti di questa nuova vita del fumetto: Maus di Art Spiegelman, Persepolis di Marjane Satrapi e Palestina di Joe Sacco. Fra questi tre successi editoriali possiamo cogliere almeno due punti in comune: la presenza dell’autore come personaggio all’interno della narrazione (che si caratterizza così come autobiografica) e un forte legame con la realtà, storica od attuale che sia.

Maus mette in scena parallelamente l’autore stesso nel suo percorso di scoperta e di conoscenza della guerra e della deportazione e massacro degli ebrei attraverso il racconto del padre (e quindi anche del suo rapporto con lui), e le vicende stesse narrate dal genitore. Persepolis, lavoro strettamente autobiografico, riesce a raccontare la storia dell’Iran attraverso il filtro dello sguardo e dei ricordi dell’autrice. Palestina invece, capostipite del filone del giornalismo a fumetti, esamina la questione palestinese mettendo in scena l’autore stesso e il suo lavoro di giornalista.

Senza dubbio il valore di questi fumetti si deve a una ricerca degli autori di una via personale d’espressione, trovando, particolarmente nel caso di Joe Sacco, nel racconto per immagini un mezzo sentito veramente come proprio; inoltre queste sperimentazioni hanno dimostrato che il fumetto può dare visioni della Storia e dell’attualità inedite ed efficaci.

Ecco che così si sono aperte molte possibilità di fare fumetti che si rivolgessero ad un pubblico nuovo: non un lettore abituale di fumetti e alla ricerca di contenuti più che di intrattenimento.

Uno dei rischi che oggi si corre però è quello di cadere nella facile trappola di pensare che il fumetto sia adatto a raccontare qualsiasi cosa, spingendolo così in una dimensione che non è la sua, appesantendo le pagine con didascalie che appartengono più al saggio che al racconto, le quali non permettono al lettore di avere una autentica esperienza di “lettura grafica”, quel particolare flusso narrativo che solo il fumetto riesce a innescare.

In un’ottica di ‘fenomeno sociale’, o di ‘funzione educativa e civica’ la forma del racconto ha una importanza almeno pari al contenuto, se non maggiore. La commistione tra linguaggi sta alla base del fumetto, racconto per immagini e parola scritta, ed è per questo che scegliendo a priori di dare forma a un contenuto, sia esso storico, biografico, di attualità, educativo, civico, le difficoltà per produrre un’opera di valore aumentano.

L’ applicazione di una formula, se manca di quel valore estetico e fabulatorio che è la forza del racconto per immagini, rischia di rendere inefficace il tentativo di andare oltre il semplice intrattenimento, e può mortificare le potenzialità linguistiche del mezzo, dando vita a giustapposizioni sterili di immagini e parole.

Bisogna quindi tener conto degli obiettivi che autori e case editrici si prefiggono. Spesso questo è esplicitato: una preoccupazione civile, un impegno nel raccontare la realtà politica, sociale, culturale e storica. E’ un tentativo che risponde alle esigenze di un pubblico preciso.

L’impressione è che il bisogno di racconti che trasmettano esperienza e conoscenza sia aumentato. In un’epoca gonfia d’informazione e comunicazioni sembra che la narrazione cominci a riprendere quel ruolo che Walter Benjamin ne Il Narratore diceva essere scomparso dopo la Prima Guerra Mondiale, dopo che troppa ed estrema era stata l’’esperienza’.

Sembra che si ricominci, oggi, da parte di queste generazioni povere di esperienza, a porre fede in essa, a risollevarne le ‘quotazioni’. E non è un caso che ciò possa avvenire attraverso un linguaggio come quello del fumetto, che comunque sia, per le sue peculiarità e principalmente per il fatto che il suo fondamento sia l’immagine disegnata, rappresenta, per un autore, un’ esperienza in sé, legata all’osservazione, al pensiero, ma anche alla manualità e alla ‘durata’.

Se a ciò si aggiunge la volontà di raccontare se stessi nel percorso di ricerca di conoscenza della realtà, cosa che si può individuare come una delle caratteristiche del fumetto contemporaneo, si capisce quanto potenzialmente il racconto per immagini possa essere efficace nella trasmissione “dell’esperienza”.

Negli anni Sessanta il Partito Comunista Italiano, per voce del suo segretario Palmiro Togliatti, più volte tuonò contro il fumetto, strumento di corruzione della gioventù e canale di invasione di un immaginario americano; ed in fondo, anche perché non è che fosse chissà ché divertente.

La critica al fumetto avveniva in maniera, anche allora, bipartisan: un’offesa alla morale ed un pericolo per i ragazzi, quindi, tanto per i comunisti che per i cattolici.

Il controllo che veniva effettuato sui fumetti che venivano pubblicati era ferreo: personaggi positivi, di una rigidità morale ineguagliabile e, per star sicuri, collocati in contesti lontani da una contemporaneità e da dei problemi che non erano fatti per i ragazzi. Addirittura Tex, che non brillò mai per provocazione e che è sempre stato uno dei fumetti più letti dagli italiani, cadde una volta fra le maglie della censura: sua colpa, quella di essere un vendicatore solitario che non rispettava la legge. L’incidente fu risolto promuovendolo a ranger.

L’Italia degli anni Sessanta iniziava però a cambiare e nel rigido tradizionalismo si iniziavano ad aprire crepe in cui si poteva parlare di innovazione e rivoluzione culturale e dei costumi.

Il fumetto, forse proprio per il fatto che era un genere diffuso tanto fra i ragazzi che fra gli adulti in cerca di evasione e di una narrativa più semplice (a stretto contatto quindi con un pubblico che viveva il cambiamento sulla propria pelle), fu una delle prime cartine tornasole di questa stagione.

Ed ecco quindi comparire negli scaffali delle edicole anche i famosi personaggi con la “K”, Diabolik, Kriminal e Satanik, i primi protagonisti di fumetto cattivi. Alla ricerca di un successo tutto terreno, questi eroi neri mostrarono al lettore una vita costruita attorno al crimine e al piacere, in cui anche il sesso aveva uno spazio forte. La realtà quindi: così tanto diversa però da quella di Tex e Topolino in cui i cattivi finivano dietro le sbarre.

Questi fumetti, semplici da leggere nel formato a due vignette per pagina e dotati di una larga diffusione, portarono in un genere abbastanza statico l’ombra di una realtà che, se poteva essere crudele e violenta, era anche aperta a nuove possibilità. Il personaggio di Satanik è forse quello più interessante in questo senso: come scopriamo nella sua prima avventura Marny Bannister era una giovane brillante ricercatrice ma brutta che scopre il segreto della bellezza e decide, vendicandosi di quanti l’avevano fatta soffrire soffermandosi solo sul suo aspetto, di vivere una vita come una donna libera padrona del suo destino. Sebbene fosse stata così tratteggiata per attrarre un lettore maschio, Satanik, come le altre eroine del fumetto erotico e nero (si pensi a Barbarella di Jean-Claude Forest), divenne espressione dell’emancipazione della donna dalla figura di madre e moglie.

Certamente, il corteggiamento della realtà dei fumetti neri è il frutto della riflessione dell’oggi, visto che all’epoca la scelta di investire sulla violenza e sull’erotismo fu dettata dalla consapevolezza degli editori che il morboso e il vietato avrebbero funzionato in termini di vendite; è indubbio però che abbiano aperto una porta al cambiamento, i cui frutti si sarebbero potuti vedere dieci anni dopo.

Gli anni Settanta infatti videro questo processo di relazione con la realtà compiersi in maniera più definita: il fumetto cominciò a vivere allora in un respiro organico con quanto avveniva nella società.

L’impellenza della partecipazione, la voglia di capire il mondo tanto da parte degli autori che da parte dei lettori (in particolare i più giovani) vide il fumetto prendere posizione: la realtà si immergeva nell’avventura!

Quest’entrata della contemporaneità nelle pagine dei fumetti non era forzata, non veniva creata con artificio: ci stava e basta. E così Corto Maltese aiutò Tiro Fisso, El Oxford e Cush a costruire l’indipendenza dei propri paesi, il Commissario Spada di Giovanni De Luca si scontrò con il gruppo armato Aut-Aut, trovandosi avviluppato nelle contraddizione fra l’essere poliziotto di una stagione d’emergenza e padre di un figlio che vuole capire le ragioni di chi spara, Valentina di Crepax fotografa e donna emancipata che incrocia nelle sue avventure anche militanti della nuova sinistra e fascisti nelle forme di babbuini..

In questa temperie si forma una generazione di autori, come Giancarlo Manfredi o Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo, che porteranno avanti questo impegno anche negli anni Ottanta e fino ad oggi. Ken Parker, Dylan Dog, Magico Vento saranno alcuni dei personaggi del fumetto d’edicola, che si troveranno, pur senza mai abbandonare le griglie del genere, a riflettere e a prendere scelte di campo.

Nell’albo Sciopero Ken Parker, catapultato dalla frontiera alle grandi fabbriche di Boston, affronterà di petto la questione sociale scegliendo di schierarsi con i lavoratori. Dylan Dog si scontrerà nelle metro di Londra con il fantasma del nazismo e con le lame dei suoi epigoni contemporanei. stesso Si scopre anche che Dylan é stato sposato con una militante dell’IRA, Lillie, morta a seguito di uno sciopero della fame nel famigerato braccio H di un supercarcere inglese con il verissimo Bobby Sands.

Pur non essendosi mai allontanati dallo scaffale dell’edicola e dal pubblico di fedeli lettori, questi autori con i loro personaggi sono andati verso una posizione che necessita di un forte coraggio per mantenerla.

L’affermazione della letteratura disegnata, la nascita della ‘graphic novel’, la scoperta in libreria del fumetto da parte di un pubblico più adulto e acculturato, hanno cambiato, sia negli autori sia nelle scelte delle case editrici, alcune dinamiche.

In anni come questi di crisi sociale, istituzionale e culturale, in cui la sovrabbondanza di notizie spesso porta ad un vuoto di informazione, la società chiede di nuovo una riflessione sulla realtà e un nuovo racconto della storia e del nostro tempo, capace di andare contro corrente.

I reportage, le biografie, le cronache e le indagini storiche a fumetti sembrano dare delle risposte a quest’esigenza di intervento. Oggi però, sembra che sia la realtà ad essere andata in cerca dell’avventura.

Nascono esperienze pioniere, capaci di lanciare una linea editoriale che marca uno spazio di mercato ben preciso, riuscendo poi anche ad influenzare le scelte degli altri: la Becco Giallo, piccola casa editrice indipendente del Nord Est, ora entrata nel gruppo Fandango, si dimostra perfettamente in grado di offrire una risposta alla rinnovata esigenza di capire dei lettori.

Agli eroi con la “K” di cinquanta anni fa si contrappongono, nelle “serie” della casa editrice padovana, dei nuovi eroi “bianchi”: figure, all’epoca magari non comprese (Luigi Tenco, Alda Merini, e perchè no, Mauro Rostagno), dell’Italia che vorremmo o, meglio, che avremmo voluto.

Un nuovo pantheon laico di personaggi esemplari, la cui vita è stata esempio di passione civile; parti di un immaginario ampiamente diffuso, in cui la lotta alla mafia, occupa un posto di primo piano, e gli anni Settanta una complessa stagione di partecipazione e di intervento cui si fa ancora fortemente riferimento come modello e come spazio di inchiesta per i nodi che ha lasciato irrisolti.

Il fumetto si trova così ad andare incontro alle esigenze di coscienza del suo nuovo pubblico: non è più intrattenimento e svago, ma strumento per un dibattito fra lettori che si sono avvicinati a esso per la prima volta e che, abituati magari ad una lettura diversa ed approfondita, non si spaventano per una narrazione densa e ricca di particolari in cui il testo spesso soffoca l’immagine.

Ci si trova così di fronte ad un paradosso: se il fumetto era stato scelto come una maniera per far arrivare un messaggio forte e d’impegno ad un pubblico che magari lo frequentava per abitudine con l’albo acquistato in edicola, si è arrivati all’esatto contrario, con il fumetto che si diffonde come linguaggio fra quanti invece già conoscevano e si interessavano all’argomento civile da questi raccontato.

Bibliografia:

ASSOCIAZIONE CULTURALE MIRADA , Komikazen. 8° Festival internazionale del fumetto di realtà, GIUDA Edizioni, Ravenna, 2012.

Walter Benjamin, Il narratore. Considerazioni sull’opera di Nikolaj Leskov, Einaudi, Torino, 2011.

Gianni Bono e Matteo Stefanelli (a cura di), Fumetto! 150 anni di storie italiane, Rizzoli, Milano, 2012.

Umberto Eco, Apocalittici e integrati. Comunicazioni di massa e teorie della cultura di massa, Bompiani, Milano, 2010[1^ ed. 1964].

Francesco Fasiolo, Italia da fumetto. Graphic journalism e narrativa disegnata nel racconto della realtà italiana di ieri e di oggi, Tunué, Latina, 2012.

Joe Sacco, Palestina. Una nazione occupata, Phoenix, Bologna, 1998.

Marjane Satrapi, Persepolis, Lizard, Roma, 2002-2003.

Art Spiegelman, Maus. Racconto di un sopravvissuto, Milano Libri, Milano, 1994.

Elettra Stamboulis e Gianluca Costantini (a cura di), Il velo di Maya. Marjane Satrapi o dell’ironia dell’Iran, Lizard, Roma, 2003.

Federico Vergari, Politicomics. Raccontare e fare politica attraverso i fumetti, Latina, Tunué, 2008.

Dylan Dog, n° 121 ottobre 1996 «Finché morte non vi separi», soggetto Mauro Marcheselli, sceneggiatura di Tiziano Sclavi, disegni Bruno Brindisi, Sergio Bonelli Editore, Milano.

Ken Parker, n° 58 aprile 1984, «Sciopero», soggetto e sceneggiatura di Giancarlo Berardi, disegni di Ivo Milazzo, Sergio Bonelli Editore, Milano.

Satanik, n°1 dicembre 1964, «La legge del male», soggetto di Max Bunker, disegni di Magnus, Editoriale Corno, Milano.

Hamelin. Storie figure pedagogia.,(rivista dell’associazione culturale Hamelin)n°27 gennaio 2011 «Storia e storie»

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