GIOVANI RIVOLTE RIVOLUZIONI
Nel n. 106 de Gli asini abbiamo trascritto una lunga conversazione pubblica sul tema della rivoluzione tra Goffredo Fofi e Enzo Traverso. Quest’ultimo sosteneva che i movimenti rivoluzionari di oggi non si riconoscono nelle rivoluzioni del passato, non hanno memoria, non hanno ricevuto un’eredità da portare avanti e questo li costringe a una dimensione creativa e sperimentale che è uno dei loro punti di forza. Certo, la mancanza di una visione complessiva della società, di un orizzonte di utopia, di un’idea di futuro è anche una delle chiavi per interpretare la confusione di questi anni, l’annebbiamento che circonda il concetto di rivoluzione.
Abbiamo continuato a interrogarci sulla rivoluzione guardando ai giovani come protagonisti, in Europa e in altre parti del mondo, di movimenti di rivolta e opposizione alla ricerca di quell’orizzonte utopico del futuro di cui parlava Traverso. Non ne abbiamo individuato uno unitario, ma abbiamo intravisto una grande varietà nelle forme di protesta (i movimenti nel sudest asiatico) e in alcuni obiettivi concreti che, seppur locali, portano in sé nuove visioni del futuro: su come vogliamo cambiare il nostro rapporto con la natura e con i viventi non umani (la battaglia di Sainte-Soline), su come desideriamo nelle nostre vite una nuova relazione fra il tempo del lavoro, della produzione e il tempo del vivere (in Francia e in Cina), sull’intreccio fra lotte per la redistribuzione e riconoscimento di sé (il movimento Vida Justa a Lisbona). In tutti i testi raccolti in questa sezione, a partire dall’articolo di Rassa Ghaffari sul movimento di protesta in Iran, emerge il rifiuto opposto da questa generazione al dispotismo di regimi politici – democratici, autoritari, teocratici, neoliberisti, nazionalisti – avvertiti come totalitari, che cercano cioè di affermare in vari modi il dominio dell’economia, dell’ideologia del progresso nazionale e della limitazione delle libertà personali dentro tutte le dimensioni delle nostre vite: nei rapporti sociali, nell’accesso alle risorse, nel disciplinamento dei corpi, nei nostri stessi immaginari.
Tutti i movimenti di cui diamo conto in questo numero hanno un particolare rapporto con le tecnologie e i media digitali di comunicazione, operano cioè sul piano di una riappropriazione materiale e simbolica di tali mezzi, che cercano di piegare al servizio delle reti di attivisti nonostante siano anche strumenti di controllo da parte degli stati o fabbriche ideologiche di produzione di soggettività per il consumo. Sono rivolte quindi che vengono attuate con gli stessi strumenti del dominio: cambia l’impugnatura e la sfida è aperta.
In tutti i testi raccolti registriamo le reazioni dei diversi governi a tali movimenti: repressione, violenza, incarcerazione, persecuzione individuale, messa al bando collettiva; ma anche la scelta da parte di questi movimenti di agire in modo pacifico, a viso aperto, nello spazio pubblico, in modo organizzato o praticando forme di disobbedienza.
“Jîn, Jiyan, Azadi” in Iran, “Vida Justa” a Lisbona, “Il n’y a pas que le travail dans la vie” in Francia, “Let’s Tea and end dictatorship!” nel Sudest asiatico, “Tang ping” in Cina, sono slogan o meme che hanno in comune una cosa: la parola vita o l’evocare un gesto di vita quotidiana come prendere il tè o sdraiarsi, per rivendicare quell’utopia che ci sembra di intravedere: riappropriarsi della vita – intesa come tempo, salute mentale, relazioni sociali, ambiente, diritto alla città – in tutti i suoi aspetti materiali e simbolici. Che sia questa una capacità di produzione utopica? Credere nella vita e dentro il cambiamento della propria vita inserire la possibilità di una rivolta? Che la rivoluzione non sia più una appendice staccata di una parte della nostra esistenza, quella riservata alla politica, ma che sia un processo di metamorfosi profondo del nostro vivere collettivo?