Elementare, signora maestra
Nelle sue Lezioni di letteratura (Garzanti 1983), Vladimir Nabokov sostiene che un grande scrittore deve avere almeno tre qualità: affabulatore, insegnante, incantatore. Mi sono tornate in mente leggendo A partire da un libro (Edizioni Junior, 2013) di Roberta Passoni, diario di una maestra (non me ne vengono in mente altri al femminile, ma certo è ignoranza mia), ma anche diario di una donna che ha fatto della narrativa il giardino da cui osservare, e talvolta provare a cambiare, quel che la circonda. Girando i termini, anche un buon insegnante è un affabulatore, un incantatore. Ed è anche un grande narratore. Perché se è vero che la buona letteratura non è mai pedagogica, è altrettanto vero che in certo senso lo è sempre, laddove non solo mostra un’altra via, un altro sguardo, un’altro modo, un’altra, possibile, parola, ma costruisce un altro, possibile mondo. Che si utopico o distopico, poco importa. Esso è lì. E noi possiamo percorrerlo, sostarvi, fuggirlo.
E’ a questi aspetti della letteratura che Passoni si rivolge quale maestra elementare e coordinatrice delle attività educative della Casa Laboratorio di Cenci, raccontandoci come proprio nelle storie, nei buoni romanzi e nei grandi personaggi, si possano trovare i più validi aiuti nel difficile compito di sostenere la crescita dei bambini (e non solo). Letteratura ed educazione, insomma, vanno a braccetto, e lo sguardo appassionato e insieme pudico di una maestra che scopre lentamente i bambini che ha intorno a sé ci dice di un modo di fare scuola che lascia all’altro lo spazio per esprimersi nella sua totalità.
Situazione idilliaca? Pare di no. Passoni non ci parla di scuole prive di conflitti e non esita a mettere a nudo le sue difficoltà. Le classi dove lavora sono complesse, il mondo fuori ben presente. E una bimba malata di Aids può divenire facilmente il grumo attorno al quale si coagulano le paure del nostro tempo. Evitarle? Nasconderle? Prenderle di petto parlando di discriminazione di fronte a un cerchio di bambini annoiati e genitori impauriti? Passoni prova ad affrontarle con gli strumenti che il mestiere e la passione le mettono a disposizione, conducendo i bambini, attraverso un sapiente lavoro di periferia – ma anche coordinando interventi specifici dentro e fuori la scuola – oltre i campi di battaglia di via Paal e del Burro. E proprio lo stare in periferia è uno dei tanti elementi che accomunano i grandi romanzi ai buoni maestri: prediligere il racconto alla comunicazione diretta, la metafora alla spiegazione, le storie alle prediche. Una delicatezza tanto più necessaria quanto più i bambini sono piccoli, pronti a raccontare purché vi sia qualcuno disposto ad ascoltarli, e capaci di comprendere dolori e difficoltà adulte, come raccontano i brevi inserti sulla tempesta e sulla zattera scaturiti dalla lettura di un canto dell’Odissea.
Se fare spazio ai libri e alla lettura è oggi quasi un imperativo, assai meno chiaro è il come – l’unica vera domanda che abbia senso in pedagogia. Passoni ci parla dei suoi modi, delle strade che nel corso del tempo ha individuato come sue, senza che alcuna di queste assuma il carattere di un binario prestabilito. Anzi, largo spazio alle divagazioni, agli imprevisti. Quel che però rimane, come punto fermo, è fare della lettura, di questo strano oggetto che è il libro, una questione relazionale: qualcosa che sta fra me e te, di cui parleremo, che ci lega attraverso i suoi personaggi, le sue vicende. Non il libro da leggere da soli, a casa – verrà il tempo di questo desiderio – ma il libro da ascoltare, da condividere, di cui discutere, da attendere con ansia. Nasce da questa consapevolezza la fitta corrispondenza che la maestra avvia dando parola ai personaggi che i bambini incontreranno poi nei romanzi che legge a scuola. Lettere alle quali i bambini rispondono, ciascuno a proprio modo, avvicinandosi alla scrittura in modo personale, vivo. Certo, è un mondo di finzione, e ben lo sanno i bambini, maestri del “come se” – la lettera d Penelope è sata certamente scritta da qualcun altro. Ma che importa? Non è una magnifica finzione anche la letteratura? Cresce così una biblioteca di classe, ragionata e classificata: libri da leggere e rileggere facendosi beffa dei bollini che li dividono per età, e una folta schiera di nomi di personaggi che avrebbe apprezzato la Ingeborg Bachmann delle lezioni di Francoforte (Letteratura come utopia, Adelphi 1983), quando proprio attraverso i nomi raccontava la crisi d’identità del ‘900.
Agli aspiranti scrittori Flannery O’Connor diceva di lasciar perdere le Idee dei personaggi che avevano in testa. Che si concentrassero, piuttosto, su quali pantofole calzavano al mattino quando scendevano dal letto (piede destro o sinistro?). Con altre parole, è quanto esprimeva ancora Nabokov: il mondo narrativo è il mondo democratico per eccellenza, dove tutti hanno il diritto di vivere e di generare. Guai, però, ad utilizzarvi il gergo tecnico, scrivendo magari di inclusione. Sono le parole curate, i gesti scelti, i dettagli, a rivelarci la sua fertile varietà. Può sembrare fin troppo facile ricordare che anche a scuola l’inclusione è fatta di piccole cose – un libro trovato apposta per una bambina; una lettera scritta la sera prima; la valorizzazione di una ricetta scritta da una nonna; l’invito in classe di una madre nata in un altro paese. Ma è difficile non trovare in questo un’altro punto in comune fra buona educazione e buona narrativa.
Il libro di Roberta Passoni è ovviamente uno strumento di lavoro, utile a tutti coloro che cerchino nuove strade nell’insegnamento. Non a caso, la Junior (che quanto prima dovrebbe dotarsi di un buon grafico, la sbiadita copertina non giova né al contenuto né al bel disegno di Lorenzo Siragusa che vi è impresso) l’ha inserito nella collana “Biblioteca di lavoro dell’insegnante”. Inutile, però, cercarvi schedine, ricette, facili schematismi. Anche la bibliografia ragionata in appendice sfugge alle maglie del professionismo per includere nella valutazione appassionata lo sguardo critico dei bambini. E questo ci pare un altro, interessante, punto in comune. Il mondo dell’infanzia è un mondo alto. Lo sa una buona maestra; lo sanno i grandi narratori: le storie hanno tutte radici in quei primi anni, in quel mondo delicato e intenso di cui i più perdono memoria.