Dalle Piagge: l’esperienza di una Casa della Salute

La Casa della salute (CdS) delle Piagge è situata in un quartiere della periferia ovest di Firenze, nato negli anni ’80 e che, in seguito all’edificazione pubblica, ha concentrato nella zona famiglie in attesa di alloggio popolare e persone con disagio socio-abitativo. La zona ospita una popolazione giovane e multietnica dove la migrazione cinese si mescola a individui e gruppi familiari provenienti da Europa dell’est, Asia, Africa e Sud America.
Le Piagge rappresentano l’area di Firenze con la più ampia forbice sociale e la più alta concentrazione di popolazione ampiamente deprivata, registrando tassi di mortalità femminile, ospedalizzazione ed accessi al pronto soccorso più alti rispetto a quelli riportati per i residenti del quartiere 5 (per un approfondimento, rimando alla Tesi Corso di Formazione Specifica in Medicina Generale di G. Occhini, 19 dicembre 2019).
Oggi la CdS rappresenta il presidio socio-sanitario di riferimento per i 6mila residenti delle Piagge e per quelli dei borghi attigui di Brozzi, Peretola e Quaracchi con un bacino di utenza di circa 30mila persone. La CdS delle Piagge ospita al proprio interno un gran numero di servizi. Oltre alla medicina generale vi sono un centro diurno e la sede dei servizi sociali, un consultorio pediatrico e ginecostetrico, il centro di salute mentale, il servizio di vaccinazioni, il Cup, gli infermieri territoriali e alcuni servizi specialistici (infettivologia, urologia, dermatologia, otorinolaringoiatria, oculistica, odontoiatra ed a breve anche cardiologia e medicina interna). All’interno della casa della salute sono presenti anche associazioni e organizzazioni no profit che forniscono servizi ai cittadini.
La ricerca-azione sul territorio
Come medici di medicina generale, appartenenti alla Campagna Primary Health Care Now or Never abbiamo da poco iniziato ad abitare la struttura, abbracciando la consapevolezza che il modello delle case della salute declini, nel contesto italiano, i principi della Comprehensive Primary Health Care (C-PHC). Il modello si basa sul lavoro multidisciplinare, dove operatori sanitari, sociali e comunitari concorrono ad affrontare – spesso in modo creativo e sempre in una logica di rete – molteplici problemi: clinici, assistenziali, organizzativi.
In una prospettiva di C-PHC la medicina generale ha proposto all’azienda sanitaria a gennaio 2020 un progetto di inserimento all’interno della CdS articolato su tre assi di sperimentazione: ricerca-azione e partecipazione comunitaria, attivazione di un front-office filtro/triage, potenziamento del lavoro in rete ed in equipe multidisciplinare.
L’aspetto forse più innovativo – che è stato il vero punto di partenza dell’attività progettuale – è il processo di ricerca-azione sul territorio, che ha costituito l’avvio del lavoro di rete e della partecipazione comunitaria. Si tratta di un processo, diventato col passare del tempo permanente, che ha coinvolto servizi, associazioni e abitanti del territorio, che al contempo si sono posti come oggetto e soggetto della ricerca.
Il motore della ricerca-azione sono stati studenti, tesisti e tirocinanti che, attirati dalla realtà sperimentale, attraverso tesi ed attività di volontariato, hanno portato aventi la mappatura del territorio e dei servizi del quartiere. Inizialmente sono stati analizzati i dati epidemiologici forniti dall’Azienda Regionale di Sanità. Contemporaneamente, attraverso metodologie di ricerca qualitativa (interviste e osservazione partecipata), è stato possibile conoscere, mappare e comprendere quali determinanti di salute agiscano sulla popolazione che vive quel territorio e fa riferimento alla casa della salute. Il progetto di ricerca ha dato inizio a un lavoro di rete che ha come centro e fulcro la CdS, come soggetto istituzionale scoprendo che questo quartiere “deprivato” è in realtà ricchissimo di associazioni, risorse e potenzialità.
Il processo di ricerca si è soffermato infine sugli attori presenti all’interno della CdS facilitando un lavoro di rete e stimolando le interazioni con gli altri professionisti. Ad oggi sono attivi diversi tavoli di lavoro con infermieri di famiglia, servizi sociali e salute mentale che permettono la gestione di casi complessi e la programmazione di attività cliniche.
La situazione di pandemia
Quando la pandemia si è abbattuta sul nord Italia, la medicina di gruppo stava sperimentando l’inserimento in reti già attive da tempo nella struttura, attraverso la partecipazione a tavoli di lavoro con infermieri, servizi sociali e servizio di salute mentale. Abitare la CdS ha permesso non solo di usufruire del supporto logistico della struttura aziendale, ma anche e soprattutto del confronto clinico ed organizzativo con le altre figure professionali presenti da anni sul territorio.
Chi di noi seguiva le attività della Campagna PHC Now or Never ha coltivato inoltre un processo di scambio con altri colleghi sparsi su tutto il territorio nazionale. Grazie alle riflessioni di chi si trovava già in piena emergenza e al confronto con gli attori presenti all’interno della CdS, è stato possibile riorganizzare e ripensare a nuove modalità di assistenza.
Una delle prime iniziative intraprese dalla medicina di gruppo è stata quella di raggiungere i pazienti con informazioni accurate sulle raccomandazioni igienico-sanitarie e sulla riorganizzazione delle attività ambulatoriali, inviando mail a cadenza settimanale, con indicazioni scritte nelle principali lingue parlate all’interno della comunità delle Piagge. I pazienti cinesi sono stati raggiunti grazie a un canale di comunicazione social, su We Chat, sviluppato da una associazione del territorio e su cui sono state veicolate le informazioni.
Per rispettare le normative regionali è stato creato un numero telefonico dedicato al triage degli assistiti con sintomi compatibili con coronavirus. Non avendo mezzi economici per sostenere una segreteria h12, i medici della medicina di gruppo hanno deciso di turnare sul telefono Covid e sulle richiamate attive dei pazienti con sintomi influenzali. Un data-set iniziale, successivamente adattato grazie agli scambi con altri professionisti, ha permesso di mantenere uno sguardo di insieme sulle consultazioni telefoniche effettuate e di programmare le richiamate attive. Un altro elemento importante è stata la partecipazione alle Unità Speciali di Continuità Assistenziale (USCA) da parte di un medico della medicina di gruppo, che ha facilitato il lavoro in rete e l’acquisizione di competenze.
Più in generale, con il passare delle settimane la situazione di emergenza ha costretto a ripensare a tutte le attività cliniche, organizzandole per scopi: i momenti dedicati ai sospetti Covid, alle visite domiciliari, alle urgenze, ai pazienti cronici, alle prime visite indifferibili e settimanalmente la riunione di equipe per mantenere un dialogo costante nel gruppo e con gli altri attori della CdS.
Il potenziamento del filtro del triage si è dimostrato essere uno strumento utilizzabile ad indirizzare in maniera mirata la presa in carico del bisogno. Una peculiarità del front-office della CdS è la presenza, alcune ore al giorno, di una collaboratrice di studio con una formazione ed esperienza di educatrice in situazioni di marginalità, che si riflette nella capacità di accogliere le richieste telefoniche, decodificare il bisogno e facilitare i percorsi di presa in carico. Pur se faticosa, la suddivisione del lavoro ha reso possibile ottimizzare i tempi e ritagliare uno spazio per seguire i pazienti cronici e fragili. Infatti, impostata e avviata la gestione dei sintomatici, l’attenzione è stata rivolta alla riorganizzazione della proattività.
L’aspetto forse più innovativo – che è stato il vero punto di partenza dell’attività progettuale – è il processo di ricerca-azione sul territorio, che ha costituito l’avvio del lavoro di rete e della partecipazione comunitaria.
Con le limitazioni imposte dalla pandemia, molte situazioni di cronicità rischiavano di essere trascurate fino allo scompenso. Questo avrebbe creato una notevole difficoltà a persone in condizioni di fragilità o vulnerabilità psico-sociale nell’accesso ai servizi di salute. La creazione di un data-set di pazienti cronici, con informazioni cliniche e psico-sociali, ha permesso di suddividere la popolazione in tre codici colore in base alle condizioni di rischio.
Tutti gli assistiti individuati sono stati contattati telefonicamente grazie al contributo di studenti e medici volontari che hanno aderito al progetto. A questo proposito, la condivisione con il servizio infermieristico e sociale ha mostrato l’importanza della presa in carico in rete nella gestione della complessità. Questi interventi si sono giovati della collaborazione presente da tempo tra professionisti della CdS, in particolare medici di famiglia, infermieri, assistenti sociali e psichiatri.
Le situazioni complesse sono state gestite all’interno di “tavoli della complessità” che hanno permesso di pianificare interventi condivisi.
Ad alcuni bisogni individuati è stato possibile dare un’iniziale risposta tramite connessioni intrecciate con volontariato e associazioni del terzo settore, come ad esempio attività di monitoraggio ed assistenza domiciliare. Inoltre, un sorprendente risvolto del progetto è stato che alcuni assistiti si sono offerti per attività di volontariato nel quartiere, secondo i propri interessi, possibilità e inclinazioni. Questo ha dimostrato che le case della salute potrebbero diventare incubatori e connettori di buone pratiche comunitarie.
Per le situazioni di solitudine e difficoltà il ragionamento in essere è più ampio e collettivo, coinvolgendo servizi e associazioni. Sul lungo periodo, l’idea è di individuare attività di aggregazione sociale nel rispetto delle norme di distanziamento fisico, per raccogliere più sistematicamente le risorse di cui le persone già dispongono, anche e soprattutto informali, così da poterle potenziare, estendere, condividere. Il coinvolgimento di altri attori e servizi della CdS, di abitanti della comunità, del volontariato e terzo settore è inevitabile e sperato. In primo luogo, la collaborazione con la salute mentale e la figura nascente dell’infermiere di famiglia, già in corso nella CdS, vorrebbe individuare modalità di proattività, non solo verso il singolo, ma anche verso i gruppi sociali, per riempire vuoti e solitudini e stimolare risorse e autonomia.
Una riforma necessaria nella medicina del territorio
Inserendo le esperienze descritte all’interno di una cornice internazionale, il modello di C-PHC rappresenta i principi ispiratori e la direzione del nostro andare promuovendo un’assistenza basata sulla persona, sulle sue reti familiari, e orientata alla comunità. Crediamo che proprio nella attivazione e messa in rete tra servizi e comunità risieda la risolutività delle cure primarie.
In questo senso le case della salute rappresentano un importante contenitore strutturale e virtuale e di professionisti, un attivatore di idee e di risorse, nel rafforzamento o nella creazione di una rete di attori e servizi in un territorio.
L’esperienza che abbiamo provato a raccontare mostra come la gestione dell’emergenza pandemica, nella sua complessità, abbia favorito nel nostro territorio un dialogo tra professionisti rafforzando reti già esistenti, favorendo connessioni e stimolando l’attivazione di risorse comunitarie. In questo contesto anche la figura del medico di medicina generale si rinnova attraverso la contaminazione con le altre figure professionali e la sperimentazione di nuove modalità di assistenza.
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