Da Colleferro: le bonifiche dei siti inquinati

La Valle del Sacco, a cavallo di due province, è sede del sito di interesse nazionale (Sin, ovvero territori nei quali è necessaria una bonifica dalle sostanze inquinanti presenti) Bacino del fiume Sacco, il terzo per estensione in Italia, oltre 7.300 ettari, e uno dei più complessi per la molteplicità delle fonti di inquinamento; unisce diverse aree industriali contaminate lungo il fiume inquinato a sua volta, assieme alle sue aree ripariali, dal beta-esaclorocicloesano o beta-Hch, isomero e sottoprodotto della produzione dell’insetticida lindano negli stabilimenti di Colleferro. Il processo di de-industrializzazione degli ultimi decenni ha portato alla istituzione di un’area di crisi complessa (detta di Frosinone) composta dal territorio di 9 comuni della città metropolitana di Roma, tra cui Colleferro, e 37 della provincia di Frosinone. Gli insediamenti industriali sono stati favoriti in provincia di Frosinone dai finanziamenti della Cassa del Mezzogiorno negli anni settanta, mentre la storia di Colleferro inizia nel 1912 con l’insediamento della produzione di esplosivi da cui si svilupperanno diverse filiere produttive. La città stessa nasce dalla costruzione dei quartieri che ospitano i lavoratori degli stabilimenti e acquisirà autonomia amministrativa e la sua identità definitiva nel 1935.
La crisi sociale prodotta dalla deindustrializzazione è stata il pretesto per giustificare l’insediamento di una discarica e la costruzione di due inceneritori nel comune di Colleferro. Le lotte ambientali nella Valle del Sacco e in particolare nella città di Colleferro si sono sviluppate a partire dalla “scoperta” dell’inquinamento da Beta-Hch, con l’obiettivo di ricostruire la mappa della contaminazione del territorio e delle sue conseguenze sulla popolazione e di realizzare le attività di caratterizzazione e bonifica delle aree contaminate, nonché di chiedere la chiusura della discarica e degli inceneritori. Peraltro, come accade sempre nei territori contaminati, sede di attività inquinanti, negli anni sono piovuti nella Valle del Sacco progetti di impianti per il trattamento dei rifiuti inquinanti e ognuno di questi è stato contrastato dai cittadini organizzati, di quel tessuto di associazioni e comitati a cui apparteniamo come Rete per la tutela della Valle del Sacco (Retuvasa).
La necessità di costruire e condividere la conoscenza
Diverse sono le dimensioni del problema che abbiamo affrontato e stiamo affrontando, dall’analisi delle fonti e dei processi di contaminazione alla comprensione delle conseguenze sulla salute della popolazione, dal risanamento del territorio allo studio epidemiologico delle patologie indotte e alla loro cura. Come cittadinanza attiva, comitati e associazioni del territorio, abbiamo affrontato questa complessità, non siamo diventati esperti nel senso tecnico del termine, ma abbiamo approfondito tutti gli aspetti, abbiamo collaborato con gli esperti su ogni dimensione del problema. Siamo diventati dei mediatori tra le conoscenze specialistiche necessarie a comprendere quanto sta accadendo nel nostro territorio e i cittadini che questo territorio abitano, attivando un processo di condivisione della conoscenza.
Il prerequisito perché questo possa avvenire è che nei cittadini nasca la volontà di sapere, siano motivati a conoscere. È la prima fase di un lavoro che deve superare la passività indotta dalla disinformazione e dall’isolamento in cui le persone hanno vissuto per anni come vittime di pratiche predatorie.
Sapere del rischio che si corre in un territorio contaminato non è il primo desiderio dei cittadini che lo abitano, tanto meno una capacità innata. Molte delle patologie indotte dalla contaminazione hanno uno sviluppo lento che dura a lungo nel tempo; l’atteggiamento di chi soffre di una patologia non è quello di farne un affare pubblico, nessuno vuole condividere la propria condizione di malato, che viene vissuta come uno stigma: da qui la difficoltà a impegnarsi in un ragionamento collettivo sulle sue origini, soprattutto se dalle autorità che vigilano sulla salute pubblica non viene un aiuto, se nel passato si è taciuto su quanto accadeva e sono intervenuti tentativi ripetuti di occultamento della verità. La sofferenza finché resta privata non dà origine a un ragionamento collettivo, condiviso.
La condizione per coinvolgere i cittadini è la costruzione di un dibattito pubblico con regole comuni; fatte le debite proporzioni, ci rendiamo conto quanto sia difficile realizzarlo osservando come si sviluppa il confronto sulla pandemia di Covid-19. Creare il terreno per un dibattito pubblico implica condividere conoscenze di base, informazioni, un metodo per costruire una riflessione su cause ed effetti. Non serve il sensazionalismo, ma continuità, puntualità nell’informazione, capacità di offrire luoghi per confrontarsin senza preclusioni di alcun genere.
Non si tratta di costruire un confronto riservato a un numero ristretto di attivisti, ma di raggiungere una platea la più ampia possibile. È un obiettivo arduo da raggiungere, la continuità richiesta come prima condizione riguarda le capacità di approfondire le conoscenze necessarie a comprendere i fenomeni, di tessere rapporti con il mondo della ricerca e del controllo sanitario, ambientale ed epidemiologico, di comprendere le modalità con cui raggiungere la cittadinanza, coinvolgerla nella comprensione e renderla protagonista della lotta per la salute e l’ambiente.
Coalizioni sociali e istituzioni tra cooperazione e conflitto
I movimenti per la difesa dell’ambiente e della salute hanno un rapporto necessario con le istituzioni a tutti i livelli fatto di cooperazione e di conflitto. Quando la Regione Lazio voleva riavviare, tramite una propria società, gli inceneritori di Colleferro, il Sindaco della città si schierò con il movimento Rifiutiamoli – che riunisce associazioni, comitati e singoli cittadini di Colleferro e del territorio – sdraiandosi di fronte ai camion che portavano i materiali necessari alla ristrutturazione degli impianti.
Dopo anni di mobilitazioni il movimento Rifiutiamoli nel luglio 2017 portò in piazza circa 6mila persone con la partecipazione di sindaci e rappresentanti delle amministrazioni locali della Valle del Sacco. Quella manifestazione è stata il prodotto di una serie di assemblee che hanno coinvolto i cittadini in prima persona e ha dato luogo a una assemblea pubblica permanente come organo di gestione della mobilitazione; ha portato alla istituzione di un presidio a ridosso dell’unica via di accesso agli inceneritori. Il presidio ha bloccato a più riprese l’arrivo dei materiali, con la partecipazione di centinaia di cittadini, fermando definitivamente la ristrutturazione e il riavvio degli impianti. Il presidio è ancora presente, in attesa dello smantellamento degli impianti. La mobilitazione del luglio 2017 e l’azione di presidio hanno convinto la Regione a chiudere la discarica di Colle Fagiolara, collocata nel territorio del comune di Colleferro.
Sul lato della contaminazione del territorio come Retuvasa abbiamo seguito per due anni le conferenze dei servizi che hanno portato alla ridefinizione della perimetrazione del Sin Bacino del fiume Sacco. Contestualmente abbiamo seguito gli incontri del Coordinamento dei sindaci della Valle del Sacco, finché ha avuto vita, contribuendo ai suoi lavori, spingendo per un suo allargamento sul territorio e per un approfondimento della sua azione, della sua capacità di rappresentare interessi, bisogni e prospettive di sviluppo del territorio.
Negli anni sono piovuti nella Valle del Sacco progetti di impianti per il trattamento dei rifiuti inquinanti e ognuno di questi è stato contrastato dai cittadini organizzati, di quel tessuto di associazioni e comitati a cui apparteniamo come Rete per la tutela della Valle del Sacco (Retuvasa).
Coalizioni dal basso per avviare le bonifiche
La ridefinizione del perimetro di Sin Bacino del Fiume Sacco ha dato l’avvio alle procedure di caratterizzazione e bonifica delle aree contaminate per cui sono stati stanziati circa 53 milioni di euro sommando fondi regionali e statali. I Sin in Italia sono 41, da Taranto a Priolo a Porto Marghera, punta dell’iceberg di una contaminazione ben più diffusa. La bonifica dei siti contaminati costituisce una impresa di straordinaria complessità per la varietà delle sostanze, dei processi contaminanti e della configurazione delle matrici ambientali; le risorse messe in campo sino a oggi non sono paragonabili a quelle necessarie. Inoltre il principio ‘chi inquina paga’ è inapplicabile quando le imprese responsabili sono scomparse. A questa complessità si aggiunge quella della sorveglianza epidemiologica delle popolazioni, per l’individuazione, la cura e prevenzione delle patologie provocate dalla contaminazione. Si trovano indicazioni nel progetto Sentieri.
In questi anni ci sono stati diversi incontri e convegni, a Bussi nel 2011, a Colleferro nel 2012, a Brescia nel 2013, con l’intento di avviare il Coordinamento nazionale siti contaminati (Cnsc) e con l’esigenza naturale di confrontarsi sulle dinamiche dei Sin per le bonifiche, riguardanti il 3% del suolo nazionale. Oggi è attiva la rete detta delle “Magliette Bianche” in cui si confronta gran parte dei comitati e delle associazioni ambientaliste, sia pure nei limiti imposti dalla pandemia. Reti e coordinamenti permettono una più ampia e approfondita condivisione della conoscenza, necessaria alla costruzione di obiettivi comuni, per dare un senso più ampio alle singole vertenze, con la consapevolezza che la dimensione degli interventi di bonifica sui territori contaminati è più che una somma di interventi locali e implica un cambiamento radicale nella formazione sociale del nostro paese.
Nella Valle del Sacco il ruolo di associazioni e comitati è stato fondamentale perché si avviasse la bonifica delle aree contaminate e si impedisse l’installazione di nuovi impianti inquinanti. L’azione della cittadinanza attiva ha messo in risalto le carenze del governo politico, della classe imprenditoriale, delle classi dirigenti nel loro complesso. L’esperienza fatta e la critica al modello di sviluppo vigente hanno portato a una presa di coscienza sulla necessità di una trasformazione radicale dei rapporti sociali e produttivi. La riflessione sulla realtà locale è approdata alla critica del modello di sviluppo globale, alla comprensione di come produca processi di contaminazione e il cambiamento climatico su larga scala, e come quindi sia necessario il passaggio alla economia circolare.
L’assetto di ogni territorio è il frutto della propria storia passata, che ha prodotto una configurazione sociale, ambientale, economica, culturale e paesaggistica: risorse e condizioni per il progetto di un nuovo modello di sviluppo, del proprio futuro. Il nostro lavoro sulla definizione di un progetto per il comprensorio della Valle del Sacco ha mosso i primi passi nel 2010 con gli incontri promossi dalla fondazione Kambo, capofila la curia vescovile di Frosinone, a cui abbiamo partecipato attivamente, con la redazione di un master plan per la riqualificazione della valle del Sacco, al quale però la politica locale le classi dirigenti locali non hanno voluto dare seguito.
Nel 2012 abbiamo promosso un incontro, nell’ambito di una serie di iniziative sui cento anni della nascita dell’industria bellica di Colleferro, con il direttore culturale del distretto di Essen della Ruhr in Germania, Hanns-Dietrich Schmidt. La straordinaria trasformazione della regione della Ruhr, bonificata dopo la chiusura delle attività siderurgiche ed estrattive, costituisce un esempio di ripristino socio-ambientale dal quale poter trarre indicazioni.
A livello europeo stiamo collaborando con la rete Lindanet costruita per intervenire nelle aree inquinate dalla produzione del lindano. Con L’Istituto zooprofilattico – terminale italiano della rete – abbiamo organizzato un primo convegno a Colleferro nell’ottobre 2020.
Abbiamo svolto un lavoro di ricerca, informazione e aggregazione di risorse a diversi livelli, che ci ha permesso di non restare intrappolati in quella fatica di Sisifo nel contrastare i progetti nocivi che a più riprese vengono proposti in aree già gravate da profondi danni ambientali. Purtroppo ci dobbiamo confrontare con logiche imprenditoriali che nella migliore delle ipotesi sono sganciate da un progetto complessivo di sviluppo e valorizzazione del territorio, a cui manca il contributo necessario delle associazioni imprenditoriali, che si devono confrontare con la necessità di un cambio di paradigma sociale e produttivo.
Una vertenza per la Valle del Sacco
Abbiamo convocato una manifestazione a Frosinone il 13 aprile 2019 per aprire una vertenza territoriale per la Valle del Sacco, partendo dai dati della crisi ambientale (Sin) e sociale (Area di crisi complessa) come dato unificante. È stata l’apertura di un processo nel quale coinvolgere tutte le componenti della società del territorio, le cui relazioni reciproche sono state caratterizzate da conflitti, competizione e talvolta cooperazione.
Sul piano politico l’esperienza del Coordinamento dei sindaci della Valle del Sacco è stato un precedente importante, nato per superare la frammentazione di competenze e risorse delle amministrazioni locali, per costruire una rappresentanza dei bisogni del territorio capace di superare le rigidità dei processi amministrativi tradizionali. È stata l’iniziativa delle associazioni, assieme a poche amministrazioni particolarmente coinvolte, a stimolare e costruire una unità d’azione a livello di tutto il territorio della Valle del Sacco. Gli accordi sono fragili di fronte al cambiamento delle amministrazioni dopo le tornate elettorali, sottoposte alle pressioni di cordate politico-imprenditoriali. Il processo è appena iniziato, non ci sono alternative se si vuole innescare una trasformazione sociale, economica e ambientale profonda e radicale.
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