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Continuità

Cinque anni fa il romanzo in versi Perciò veniamo bene nelle fotografie, edito da Isbn, scritto da Francesco Targhetta (Treviso 1980, insegnante) ci rivelò un autore importante, originale e maturo, assai diverso dai lirici e dagli ermetici che continuano a illuminarsi di immenso e a filosofare dilettantisticamente.
15 Marzo 2017
Francesco Targhetta

Banca

Ci era sfuggito, come sempre sfuggono,

un asterisco, esiguo, tra parentesi,

ripreso in una nota in corpo sette
in fondo alla brochure del conto smart,

secondo cui non è gratis, la carta

di credito, dopo il primo anno

se i pagamenti nei mesi precedenti non raggiungono l’importo di euro (in totale) milleseicento

ma ormai mi aveva assicurato, Erica,

che era un benefit per sempre,

la gratuità della Visa, e ora tace,

girandosi la fede, già figurandosi

la mia fuga verso IW Bank

o Banca Intesa. “Gliela pagheremo

noi”, irrompe, con un sorriso che

da solo si distrugge: “le singole filiali

possono decidere di farlo,

e noi lo faremo, ne parlo

al direttore più tardi”,

in un tono pieno di ruggine.

La sera fuori inizia a pesare

i suoi colori bruni sui tetti. Lascia

che ti blandiscano, rifletti, con le dita

che abbottonano il cappotto:

a tradirli basta poco, dopo tutto,

ed è il solo modo che ti resti

di farti valere nella vita.

Continuità

Le case delle madri morte i figli

le dividono in due, già in trattative

aperte nei giorni stracci del lutto,

perché ora la gente necessita

di più modeste metrature, se uno

sarà il figlio, rari gli ospiti, in casa

si dorme, cena, tivù, e fuori si vive,

cioè al lavoro. In qualche mese

tutto è rifatto, al CeRT la cucina,

spartiti l’argento e quel poco di oro,

cartongesso, e al prete i comò.

Solamente rimane tutto intatto
se ci entrano i gruppi di bengalesi,

i mazzi in nylon di rose da vendere

dentro i vasi vinti all’A&O.

Cinque anni fa il romanzo in versi Perciò veniamo bene nelle fotografie, edito da Isbn, scritto da Francesco Targhetta (Treviso 1980, insegnante) ci rivelò un autore importante, originale e maturo, assai diverso dai lirici e dagli ermetici che continuano a illuminarsi di immenso e a filosofare dilettantisticamente. Parlava di sé e di quelli come lui, e parlava del Veneto e dell’Italia, ma parlava, quel libro, soprattutto di una generazione cresciuta negli anni di Craxi e di Berlusconi e della grande mutazione che ha disumanato quel che restava dell’umano, e ci ha riportato alla condizione di “un volgo disperso che nome non ha”. Suoi modelli erano, di tutta evidenza La camera da letto di Attilio Bertolucci e soprattutto La ragazza Carla di Elio Pagliarani, con l’aggiunta di un po’ della malinconica autoironia di Giovanni Giudici e di Fernando Bandini (veneto come il lontano maestro di tanti, una sorta di “nonno” anche per Targhetta, Giacomo Noventa). A Francesco Targhetta già amico e collaboratore di “Lo straniero”, abbiamo chiesto, come ad altri amici (Splendore, Abeni, Guerriero tra gli altri) di aiutarci in una piccola impresa cui molto teniamo: pubblicare in ogni numero di “Gli asini” almeno una poesia – preferibilmente di una o un giovin poeta italiano e, quando non soddisfatti di quel che troviamo, di un/ una poeta straniero/a recente e già noto/a, se non qui altrove, o ancora di uno/a dei più amati/e poeti del Novecento, da noi e non solo da noi. Ma ci è sembrato bello cominciare proprio con due poesie sue, inedite: che parlano del nostro presente, del nostro Paese, della nostra sudditanza alla merce e al capitale. (g.f.)

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