Gli Asini - Rivista

Educazione e intervento sociale

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Bisogni e Fabbisogni

Illustrazione di Martina Sarritzu
22 Ottobre 2020
Ivan Illich

Incontro con David Cayley

Questo estratto della conversazione registrata da David Cayley nel settembre 1988 alla Pennsylvania State University è ora incluso in Una fiamma nel buio (elèuthera 2020).

Quando è entrata nei tuoi pensieri l’idea dei bisogni?

Nel suo piccolo libro The Needs of Strangers, Michael Ignatieff risponde alla mia intenzione, che avevo annunciato, di scrivere una storia dei bisogni, dicendo che è un’impresa impossibile. Il modo in cui lo dice è giusto, e sono d’accordo con lui. Non si può scrivere una storia mondiale dei bisogni. Penso che si possa scrivere una storia dei bisogni nella tradizione occidentale degli ultimi duecento anni, una sociogenesi di ciò che chiamiamo “bisogni”. Sono d’accordo con Ignatieff sul fatto che il posto che il termine vagamente corrispondente a ciò che noi chiamiamo “bisogni” aveva nel discorso di Shakespeare, Sant’Agostino o Aristotele è così diverso dal posto che occupa nel nostro discorso che i due non sono ragionevolmente comparabili. A chi mi chiede di parlare di questo tema in poche parole, raccomando sempre un libro di William Leiss che si intitola The Limits of Satisfaction. Dodici anni dopo essere stato scritto, è ancora un gioiello. Egli si basa sull’assunto marxista che i bisogni – lui li chiama bisogni ad alta intensità di merci – derivano da una trasformazione delle esigenze in domande di merci, che a loro volta divengono diritti acquisiti. A quanto pare, dal modo in cui sorridi, tu hai bisogno di un’attrezzatura per lavare i denti. Questo bisogno esige uno spazzolino, un dentifricio, dell’acqua, e forse qualche altro piccolo aggeggio. Il tuo bisogno di pulizia mattutina dei denti non può essere soddisfatto senza questo pacchetto. E puoi andare un passo più in là. Avrai bisogno di un consulente che ti dica come combinare i diversi elementi – perché uno solo di essi, in sé, non è soddisfacente – in modo da assicurare il soddisfacimento del tuo bisogno di igiene orale.

Nella società moderna i bisogni sono frantumati. Non possono essere soddisfatti individualmente, possono essere soddisfatti soltanto per mezzo di una consulenza professionale che ti dica cosa realizzi il soddisfacimento di un bisogno che non provi. Ora siamo nel momento in cui i bisogni vengono intensivamente trasformati in fabbisogni di conoscenza. Il medico fa la diagnosi della tua condizione, ma non ti prescrive più ciò di cui hai bisogno – non è così stupido da credere che tu ne abbia bisogno, che ci sia qualcosa che tu puoi sentire, che ci sia una qualche esperienza soggettiva – ordina ciò che il fabbisogno di questa condizione esige. Quindi, quando mi chiedi di parlare dei bisogni, io mi trovo a farlo in una circostanza in cui i bisogni stanno rapidamente scomparendo dalla società. Nei tardi anni Ottanta vengono sostituiti dai fabbisogni. La gente parla dei suoi fabbisogni energetici. È stata qui una studentessa la scorsa settimana: volevo offrirle un secondo bicchiere di quel sidro che si può comprare dagli Amish qui attorno, e gli ho detto: “È un buon sidro, prendine ancora”. “Oh, no” ha risposto, “per oggi il mio fabbisogno di zuccheri è soddisfatto. Non voglio avere un picco di zuccheri”. L’idea che tutte le persone abbiano bisogni specificabili, che possano essere identificati e classificati, e che poi debbano venire soddisfatti, rappresenta una rottura con una percezione molto diversa della condizione umana, la percezione tradizionale della condizione umana che dava per scontato che alcune cose sono necessarie e non possano essere cambiate, ma devono essere accettate. In questa visione tradizionale la coltivazione del desiderio e la regolazione del desiderio nel contesto della necessità erano il principale compito etico e morale personale per tutti, e per la comunità. I bisogni, quindi, non sono né necessità che non possono essere cambiate, né desideri che mai possono essere soddisfatti. I bisogni – nel senso in cui io voglio discuterli, quando parlo di bisogno di istruzione, bisogno di apporti medici, bisogno di essere trasportati, bisogno di reddito – sorgono quando la tecnica viene accettata come mezzo per cambiare, per abolire, le necessità che la condizione umana impone.

Per esempio?

Il fatto che io non possa andare ogni giorno a fare qualcosa a una distanza di più di cinque miglia da casa mia. L’alternativa è la veicolarizzazione dello spazio e, simultaneamente, l’affermazione del presupposto che ciò che desidero debba essere soddisfatto consumando una certa quantità di miglia per passeggero, anziché camminando o semplicemente convivendo con il desiderio.

Io vado in pellegrinaggio, desidero arrivare alla sua fine, e arrivato alla fine so che ho appena iniziato. Questa era l’esperienza di un pellegrino verso Santiago nel dodicesimo secolo.

Capisco ciò che stavi dicendo sul desiderio che non ha orizzonti. Quello che non ho capito è il fatto che possiamo aver oltrepassato i confini tra un’era dei bisogni e un’era dei fabbisogni. Ovviamente ha qualcosa a che fare con il tuo esempio della ragazza che ha così completamente introiettato…

…di essere un sistema…

…una sorta di discorso igienico su se stessa, da rispondere alla tua offerta di un secondo bicchiere di sidro in termini di esigenze di zuccheri.

Era anche una sessuologa. Esprimeva i suoi bisogni sessuali.

Non i suoi fabbisogni sessuali? Non capisco bene questa distinzione tra bisogni e fabbisogni.

Quando la gente mi parla dei bisognosi, io rispondo: “Questo non è affare mio, io non mi prendo cura di loro”, mettendo un’enfasi molto specifica sulla parola cura. I bisognosi, dei quali mi dovrei prendere cura, li lascio ai filantropi o ai politici. Io vorrei comportarmi come un samaritano che raccoglie un ebreo che è stato picchiato, come un palestinese che raccoglie il suo ebreo. Ma non ho intenzione di prendermi cura dei bisognosi.

Quando parlo di questo, quando dico che non mi prendo cura dei bisognosi, la gente mi dice: “E le persone che stanno morendo di fame in questo momento in Etiopia?”. Quando rispondo che io non me ne prendo cura, iniziano subito a parlare di fabbisogni calorici minimi o, ancora peggio, mi fanno un elenco di fabbisogni minimi senza i quali non possono sopravvivere. Questo mi succede sempre più spesso. Dieci anni fa la gente mi rispondeva: “Cerca di pensare alla fame”. Ora gli etiopi non sono più affamati. Sono individui umani i cui fabbisogni esistenziali fondamentali non sono stati soddisfatti.

Nel momento in cui cominci a pensare alla fame in termini di calorie, nella tua fantasia diventi un amministratore di sistemi. Diventi qualcuno che sente di avere il potere, o che almeno dovrebbe averlo, di accendere o spegnere la vita, perché chi può accenderla può anche spegnerla, non facendo quello che dovrebbe fare. La fantasia che gli etiopi dipendano da ciò che gli mandiamo implica una terribile vanità. Smetto di pensare nei termini di una specifica bocca affamata nella quale entrerà un pezzo di pane, e inizio a parlare in termini di tonnellate, senza che io abbia necessariamente l’intenzione o la capacità di prendere un pezzo di pane e di dividerlo con qualcun altro. E questo accade in una società nella quale l’ospitalità è diventata pressoché impossibile. Qui nel nord, in America e in Canada, viviamo in una società in cui puoi ospitare occasionalmente in casa qualcuno quando arriva per fare una conferenza, o per un viaggio, ma non si può paragonare con ciò che accade in tutto il cosiddetto Terzo Mondo, dove è assolutamente normale che una famiglia accolga degli “ospiti” che rimangono per anni. I vecchi restano, i figli ritornano. Il fatto che la ragazza divorziata, o la ragazza che si è prostituita e ora deve curarsi dalla sifilide, torni a casa è una cosa scontata. Paragonalo con un mondo in cui non viene offerta neppure l’ovvia ospitalità agli anziani, ed enormi problemi economici sono creati dalla temibile prospettiva – così viene vista – che quando io avrò ottantacinque anni ci sarà un numero di persone di ottantacinque anni cinque volte superiore a quello di oggi. E quindi cosa facciamo? Parliamo di fabbisogni gestionali, di fabbisogni di sopravvivenza.

C’è qualcosa che capisco e qualcosa che non capisco in quello che stai dicendo. Capisco ciò che dici riguardo all’ospitalità. Comprendo che nel nostro mondo tutto è già organizzato, che non abbiamo tempo per le cose più semplici, e non possiamo permetterci le cose più ordinarie che nel mondo tutti si permettono. Ma la tua distinzione tra bisogni e fabbisogni mi lascia ancora perplesso.

Credo che verso la metà degli anni Ottanta ci sia stato un cambiamento nello spazio mentale in cui molte persone vivono. Un qualche tipo di crollo catastrofico nel modo di guardare le cose ha fatto emergere un modo diverso di vederle. Il tema di cui ho sempre scritto è la percezione dei sensi nel nostro modo di vivere, e, a questo proposito, la mia opinione è che attualmente stiamo attraversando uno spartiacque. Non pensavo che nella mia vita avrei assistito a questo passaggio.

Ora tu potrai sempre tirar fuori qualche frase o paragrafo in cui esprimevo la sensazione che stessimo andando in quella direzione, ma non pensavo che sarei stato vivo nell’epoca che sarebbe andata oltre questo spartiacque, oltre questo golfo, ed essere quindi capace di guardare indietro quanto fosse bello il mondo in cui la gente parlava ancora dei bisogni degli sconosciuti, e non dei fabbisogni degli sconosciuti. L’ho spesso trovato romantico e detestabile, ma era ancora un mondo in cui le persone di buona volontà creavano un senso di colpa in molti americani, perché i loro bisogni erano soddisfatti mentre i bisogni di molte altre persone non lo erano. Noi ora ci siamo spostati in una situazione in cui la connessione soggettiva tra una persona e ciò di cui ha bisogno è sbiadita, scolorita.

Trentacinque anni fa, le prime volte che partecipavo a qualcuno di questi convegni sulla demografia, ero stimolato a esaminare l’apparizione del concetto di popolazione. Il concetto di popolazione non è così vecchio. Mi è stato molto difficile adattarmi a esso. Ma ora è successo qualcos’altro. Noi non parliamo più delle popolazioni nel vecchio senso. Parliamo di sistemi, e degli elementi di un sistema. Tu puoi dirmi che tecnicamente gli strumenti statistici usati in entrambi i tipi di discorsi sono gli stessi. Io credo davvero che le metafore mediante le quali vengono interpretati sono nuove.

Quindi cosa pensi che sia successo? Sembra che tu stia dicendo che almeno i bisogni implicavano le persone, mentre i fabbisogni sono un concetto sistemico che implica solo un’interazione simile a quella delle macchine. Ma mi sono perso, davvero.

Bene…

Dici che è un inizio?

E per favore ricordati che il termine macchina ha assunto un significato completamente nuovo quando Alan Turing, in mancanza di altre parole del linguaggio ordinario, ha iniziato a parlare di ciò che poi sarebbe diventato il computer come della macchina universale. Questa è una pura astrazione, una funzione che adatta il suo stato interno al suo ultimo calcolo, una scatola nera. Chiunque voglia usare il termine macchina per designare una penna, un orologio, una locomotiva a vapore o un motore, e quella scatola nera, come bestie dello stesso tipo – in qualsiasi modo dello stesso tipo – non ha capito quello che è successo e non ha la capacità di farlo.

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