Bergoglio delude i progressisti per evitare che la Chiesa vada in pezzi
Il Vaticano, come è noto, ha sollecitato il Governo italiano a correggere il disegno di legge contro l’omotransfobia, meglio conosciuto come ddl Zan, tramite una irrituale “nota verbale” (che in realtà non è verbale ma scritta) finita sul Corriere della sera, accompagnata da polemiche e precisazioni, infine terminata nel nulla perché, come ovvio, se il provvedimento viene approvato o meno, così com’è o emendato, non dipende dalla Santa Sede ma dalle turbolenze del quadro politico italiano in rapida decomposizione. Meno noto è perché il Vaticano abbia agito come ha agito, ancor più ignoto è cosa abbia pensato di tutto questo Francesco, il papa del “chi sono io per giudicare?”. Al riguardo almeno tre interpretazioni sono possibili. Prima interpretazione, un po’ ridicola: il papa non sapeva, quei cattivoni della Curia romana gliel’hanno fatta di nuovo sotto il naso. L’interpretazione è un po’ ridicola perché tenta di applicare uno schema ermeneutico che pure ha qualche fondamento ad una realtà che però è più complessa di così. Che tra il pontefice venuto “quasi dalla fine del mondo” e il Vaticano ci sia dialettica, per non dire conflitto, che i rapporti di Bergoglio nei confronti di Roma siano improntati alla diffidenza, che i vescovi e i cardinali tentino di boicottare le riforme francescane con l’aiuto del generone romani – è tutto vero. Ne scrivemmo sugli Asini nel 2014 prima ancora che “il papa e i suoi nemici” divenisse un genere letterario. E però, e però… siamo nel 2021, e dopo otto anni di pontificato – e dopo avere ormai realizzato un sostanzioso spoils system nei quadri dirigenziali dell’apparato – è difficile pensare che Francesco viva di soli conflitti con la Curia. Diventano sospetti gli articoli, ispirati dallo spin di Casa Santa Marta, dove il papa risiede, che a favor di stampa progressista suggeriscono, ogni volta che Francesco fa qualcosa di conservatore, che lui non ne sapeva niente, che lui in realtà voleva fare altrimenti, che a leggere tra le righe dell’ultimo Angelus, dell’ultima messa, si capisce che, insomma, il compagno Bergoglio lotta ancora insieme a noi. Gli inglesi parlando di “wishful thinking”, pensiero desiderante: quando desideri così tanto una certa versione delle cose che scambi i tuoi auspici per realtà. Le cose sono più complesse di così. Può ben pure darsi che il papa non sia entrato nelle technicalities diplomaiche, anzi è probabile che non segua tutti i dossier personalmente e nel dettaglio (mandare una “nota verbale” o fare una telefonata, scrivere una mail direttamente a Mario Draghi o prendersi un caffè con Luigi Di Maio), ma sarebbe davvero singolare che il pontefice non avesse avallato la linea politica, ossia la decisione di intervenire presso lo Stato italiano per chiedere la modifica, tesa, lo ha precisato il cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin, a ridurre l’ambito di discrezionalità dei magistrati nell’applicazione di una normativa che tocca il nervo della discriminazione e della libertà d’opinione. Gli zelanti difensori dell’immagine immacolata del papa, peraltro, forse non si rendono conto (o forse sì, e sarebbe ancor più grave), che le alternative sono due, aut aut, tertium non datur: o il papa sa, e allora la responsabilità oggettiva ricade sulle sue spalle, oppure è ignaro, e allora è un po’ scemo, o comunque incapace di governare. Poiché a noi Bergoglio non sembra né scemo né incapace di governare, passiamo alla seconda interpretazione possibile. Fin dall’inizio del pontificato Francesco ha avviato riforme significative, dagli abusi sessuali alle finanze vaticane, dai ministeri alla liturgia, ha cambiato linguaggio e posizionamento della Chiesa, si è sbarazzato dell’ossessione – eretica, si può dire – per la morale sessuale, i valori non negoziabili, la bioetica, ha sganciato la cattolicità dall’abbraccio – magari conveniente nel breve periodo, letale nel lungo – con la destra internazionale, ha resuscitato il cattolicesimo sociale, ha ripreso in mano il Vangelo, ha parlato da padre spirituale, ha toccato il cuore di molti, dentro e fuori il perimetro ecclesiale. E a molti altri, proprio per questo, sta sulle palle. E’ anche comprensibile: chi ha basato la propria vita su una fede concepita come ordine e disciplina, precettistica e influenza, latino e vecchi merletti, ora vede crollare un mondo, il proprio mondo, e reagisce male. Negli anni il papa è stato criticato, vituperato, attaccato da ampi settori conservatori, tradizionalisti, reazionari. Per essere più precisi: è stato criticato, silenziosamente, dai conservatori, che hanno mandato avanti una chiassosa ridda di reazionari. I quali hanno minacciato lo scisma su questioni come le donne diacono, i preti sposati, i riti alternativi. Il culmine è stato l’assemblea sinodale panamazzonica (ottobre 2019). Per difendere l’obbligatorietà del celibato è sceso in campo niente meno che Benedetto XVI, con un libro a quattro mani con il cardinale ultraconservatore Robert Sarah. E Francesco, da allora, ha frenato. Il papa argentino ha ora 84 anni, ha aperto molte porte e molte finestre, ha fatto entrare aria e qualche refolo di vento. In otto anni la Chiesa ha un volto profondamente diverso, discute di temi che solo poco tempo fa non solo erano indiscutibili ma era addirittura impensabile che si potessero discutere. Questo pontefice è convinto che a lui tocchi seminare, spetterà ad un altro papa raccogliere. Nel frattempo lui deve evitare che le divergenze si trasformino in spaccature, che il dibattito crei divisione, che la storia ricordi la sua riforma come una perestrojka portatrice di dissoluzione. Fare evolvere la Chiesa, sì, ma senza strappi, introdurre una sinodalità polifonica, non cacofonica, plasmare, come ama dire, “l’unità nella diversità”. Non è casuale, allora, che da un paio d’anni – appunto dall’Amazzonia in poi – il suo pontificato sia meno una cavalcata, più una messa a punto. Le riforme avviate sulla carta ora vanno realizzate e applicate. Le fughe in avanti frenate, le ansie conservatrici placate, le persone smarrite da tante novità – ebbene sì, anche loro sono pecorelle, magari un po’ fasciste ma pur sempre pecorelle – cercate e rinfrancate. In questo quadro, allora, non pare incongruo pensare che quando dalla Conferenza episcopale italiana sono arrivate in Segreteria di Stato richieste di intervenire presso il Governo per chiedere di correggere il ddl Zan, il papa abbia dato il suo beneplacito. A mo’ di chiosa vanno peraltro fatte due considerazioni. La prima: essendo altamente improbabile, ancorché non escluso del tutto, che sia stato il Vaticano a voler fare una figura di palta, è altamente probabile che a filtrare la “nota verbale” alla stampa sia stato qualche politico italiano. Da quando Mario Draghi è salito a Palazzo Chigi, del resto, i partiti italiani sono precipitati in una crisi di identità che costituisce l’humus propizio per simili iniziative. La seconda: chissà quante volte nel corso dei decenni il Vaticano avrà riservatamente sollecitato con il Governo italiano un intervento su questa o quella legge, sul divorzio o sul fine vita, sulle scuole cattoliche o sull’immigrazione. In quanto riservato, appunto, non lo sappiamo. Certo è che una protesta formale, paradossalmente, somiglia più a una confessione di impotenza che a un’ingerenza: chi si ingerisce davvero non ha bisogno di una “nota verbale”, alza il telefono e impartisce ordini al suo docile interlocutore. E a partire da questa impotenza si può azzardare una terza interpretazione. Questa volta siamo noi a rischiare il wishful thinking, ma tant’è. Il papa argentino ha preso il nome di Francesco per cambiare la Chiesa dal basso, ma stando ai vertici. Il suo pontificato si svolge in questa insolubile contraddizione. Ad osservare attentamente il papa spiccano due caratteristiche. La prima, Bergoglio è un uomo estremamente realistico. Non metterebbe mai mano ad una riforma destinata a fallire, tanto meno a una rivoluzione. Ma è altresì consapevole che nel lungo periodo se hai seminato bene, fioriranno piante e fiori rigogliosi. La seconda caratteristica, Bergoglio è un uomo di preghiera. E’ “contemplativo in azione”, come scriveva sant’Ignazio di Loyola, fondatore dei gesuiti. E’ altamente improbabile che non veda lucidamente quanto anacronistiche siano certe strutture della Chiesa cattolica mondiale, in Vaticano e altrove. Non è un caso che da otto anni continui a imprimere all’apparato un sisma continuo. Costruisce e boicotta. Gestisce strutture alle quali poi sembra indifferente. Governa, sì, e anche in modo accorto e prudente, ma il suo cuore sembra altrove. Vede lucidamente – sempre “contemplativo in azione” – che anche oggi, magari nei luoghi più improbabili, lo Spirito continua a “soffiare dove vuole” (Vangelo di Giovanni 3,8), e a far nascere novità evangeliche. Il sistema, dicono gli esperti di management, non lo cambi: è semmai il sistema che cambia te. Quel che tu puoi fare è far nascere e crescere delle novità, creare le condizioni perché il dibattito non sia represso, ci sia vita anche al di fuori dalla casa, lo Spirito non venga soffocato. Poi sarà la storia a incaricarsi di far cadere i pezzi della casa che non serviranno più. Quel che nel frattempo era nato e cresciuto, allora, avrà modo di esprimersi in pienezza.
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