Educazione e intervento sociale
Il ritorno del ragazzo selvaggio
di Matteo Schianchi
Questo articolo è stato pubblicato sul numero 56 de “Gli asini”: abbonati o fai una donazione per sostenere la rivista.
Un vecchio e noto adagio dice che è necessario indietreggiare per poter saltare meglio. È una postura che trovo non di rado utile quando si ragiona di alcuni temi e questioni sociali. Capita, infatti, di ritrovare in alcuni testi che oggi potrebbero apparire datati alcune analisi e argomenti che continuano a interrogarci e la cui pertinenza non è stata anestetizzata dalle più recenti evoluzioni, né dalla retorica e dalla familiarità costruitesi attorno ad alcuni temi, per esempio quello della disabilità. Storicizzare il nostro sguardo serve, inoltre, a renderci conto dei cambiamenti più o meno recenti, ma anche delle involuzioni, così come del variare di semantiche e linguaggi che spesso sono, a proposito di salti, delle vere e proprie fughe in avanti, se non delle mistificazioni, per usare un vecchio linguaggio sempre efficace.
È in quest’ottica che alcune analisi formulate nei primi anni ottanta e raccolte in Andrea Canevaro, Il ragazzo selvaggio. Handicap, identità, educazione (EDB 2017) forniscono spunti di riflessione a chi è coinvolto dal tema in prima persona o come genitore o come professionista (insegnanti, educatori, pedagogisti). In luogo di disabilità e persone con disabilità, sorprenderà l’uso nel testo di un linguaggio legato alla semantica dell’handicap, termine in uso in quegli anni per indicare la menomazione e che in questo libro è usato proprio secondo questa accezione, anche se oggi ha assunto un significato diverso anche se quell’essere sinonimo di deficit permane ancora in molto senso comune. Lo stesso Canevaro ci ricorda che handicap è una nozione di natura squisitamente sociale e non biologica, essendo il risultato di un interazione tra un individuo con un’infermità e le condizioni in cui si trova.
Dai primi anni ottanta la riflessione pedagogica attorno a questi temi è andata molto avanti e, come è noto, Canevaro ne è uno dei principali punti di riferimento. Alcuni capitoli del libro sono dunque utili a tornare su alcuni classici della pedagogia e della filosofia (per esempio il terzo dei quattro capitoli, centrato su apprendimento e comunicazione), alle loro ragioni fondamentali su cui vale la pena riflettere, nuovamente, sul perché sono diventati dei classici del pensiero.
Anche tornare al ragazzo selvaggio ha un preciso significato. Il caso di questo bambino abbandonato nelle foreste francesi dell’Aveyron alla fine del Settecento e gli interventi educativi proposti da Jean Itard, come ci ricorda anche un film di Truffaut, sono l’occasione per tornare sui fondamenti stessi di ogni pedagogia destinata a bambini con o senza disabilità. Quale bambino prefigurano e contribuiscono a forgiare, concretamente e più o meno consapevolmente, le pedagogie che coinvolgono i bambini e il loro diventare adulti? Quale identità costruiscono e valorizzano gli interventi educativi? In sostanza, che idea di individuo hanno gli interventi educativi e pedagogici?