Setembre e altre poesie
di Mauro Sambi
Mauro Sambi è nato nel 1968 a Pola dove ha vissuto fino agli anni della guerra dell’ex Jugoslavia, stabilendosi in Italia per studiare, prima, e in seguito come insegnante di chimica all’università di Padova. È considerato uno dei migliori poeti istriani, realtà di cui si parla poco o nulla, ma a cui appartengono scrittori e poeti quali Nelida Milani (di cui Marsilio ha da poco ripubblicato Bora, scritto con Anna Maria Mori), Laura Marchig, Loredana Bogliun e da cui provenivano Ligio Zanini, Pier Antonio Quarantotti Gambini e Fulvio Tomizza. Mauro Sambi scrive in italiano alternando qualche poesia in dialetto istro-veneto. L’ultimo suo libro si intitola Una scoperta del pensiero e altre fedeltà (Ronzani editore 2018). Nella poesia L’alloro di Pound, “La Ruggi” è Olga Rudge, la compagna di Ezra Pound, entrambi sepolti al cimitero di San Michele a Venezia.

Andrew Wyeth. Christina’s World. 1948 | MoMA
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Setembre
per papà
A ’sta luce ormai fiapa de setembre
che stonda ogni canton co’ la sua polvere
de oro vecio, vecia siora che ancora
se indovina de mula esser sta bela,
mi no podarò mai volerghe mal
per gaverte portà a morir con sè
ne l’inverno, nele sue prime piove,
nei primi fredi, nel scuro che cressi;
perché la me disi che tuto quanto
sto mio bassilar per niente xe niente
co la me porta un poco via de qua
dove che ti ti son za, ‘ndo’ che semo
come che ièrimo una volta, insieme
per sempre ti e mama e Bruno e mi.
A questa luce ormai fioca di settembre / che stonda ogni angolo con la sua polvere / d’oro vecchio, vecchia signora che ancora / s’indovina da ragazza essere stata bella, // io non potrò mai voler male / per averti portato a morire con sé / nell’inverno, nelle sue prime piogge, / nei primi freddi, nel buio che cresce; // perché mi dice che tutto questo / mio affannarmi per niente è niente / quando mi porta un poco via da qua / dove tu sei già, dove siamo / come eravamo una volta, insieme // per sempre tu e mamma e Bruno e io.
Libeciada
Venezia, San Trovaso, 30 settembre 1995
Prima libeciada de autuno, cava
via de i pini el cantar de la segale,
scorla le ultime more su le graie,
le prime foie via de ‘l fighèr. Lava
le piere de’l Verde, cancela i resti
de l’estate, mòstrime do delfini
fra le grote de Punta San Giovàni
e i scoi de Fraschèr.
Prima libeciada de autuno, porta
via le vosi e le ridade de i fioi
su le spiagete, e spètina le piume
de i cucai. Sburta ne i porti le vele,
ferma a l’armiso le batane, làssime
su ‘l viso un baso pissighìn de spiuma
e in boca el savor forte, dolseamaro,
de i giorni che xe ‘ndai.
Prima libeciada de autuno, fame
sentir la tua passion su ‘l lungomare
sora ‘l Verde, per tanti quatro piere,
ma per mi – finestra su l’infinì.
Sparnissa le semense de ginestra
tuto intorno su Punta Promontore,
e chissà che un domani no vedemo,
do’ che ogi no podemo imaginarle,
mace giale fiorir.
Prima libecciata d’autunno, spoglia / i pini del frinìo delle cicale, / scuoti le ultime more sui rovi, / le prime foglie giù dal fico. Lava / le pietre del Verde, cancella i resti / dell’estate, mostrami due delfini / fra le grotte di Punta San Giovanni / gli scogli di Fraschèr. // Prima libecciata d’autunno, porta / via le voci e le risate dei bimbi / sulle spiagge, e spettina le piume / dei gabbiani. Sospingi / nei porti le vele, / ferma all’ormeggio le battane, lasciami / sul viso un bacio pungente di spuma / e in bocca il gusto forte, dolceamaro, / dei giorni non più miei. // Prima libecciata d’autunno, / fammi / sentire la tua passione sul lungomare / sopra al Verde, per tanti quattro pietre, / ma per me – finestra sull’infinito. / Disperdi le sementi di ginestra / tutto intorno su Capo Promontore, / e chissà che un domani non vediamo, / dove oggi non possiamo immaginarle, / macchie gialle fiorire.
L’alloro di Pound
I
Superata la Madonna dell’Orto
verso Oriente, un arco apre alla laguna
e a San Michele. L’isola dei morti
ferma l’occhio – se la notte è di luna –
che voglia avventurarsi all’orizzonte.
Ma la notte è di nebbia, è nostra, è spuma
d’eterno su noi prossimi sul ponte;
l’illusione d’illimite fortuna
vela i cipressi dietro all’alto muro.
Il presente risplende. Un bacio punge,
affiora, prende tempo, non s’invera.
Seguiranno gli anni di poca terra
e di pochissima acqua, le lunghe
attese di una breve fioritura.
II
Nei miei girovagari estatici di studente povero,
tra chiese minime, vecchi squeri, calli impolverate
dove garrisce il gran pavese
delle lenzuola stese ad asciugare,
di rado qualcuno m’accompagnava.
Venne una volta mia madre.
Durai qualche giorno – ma con successo –
a smussarle il pregiudizio
radicato nell’infanzia più remota
sulla città triste e sul fetore dei canali.
Bella come sempre, anche nel vestito comodo
scelto per la lunga passeggiata,
a un tratto pretese una fermata a San Michele.
Mi piace – disse – la pace dei cimiteri.
Ossia: la commovente elementare trascendenza
della gente che per troppe fatiche non sa
il lusso di pensare altrove
la propria transitorietà.
Dopo un’ora indugiavamo tra lapidi e fiori.
Al Camposanto dei Greci rendemmo omaggio
a Stravinskij e alla moglie Vera.
(Nel recinto evangelico Brodskij ancora non c’era,
ancora negli occhi aveva
l’acqua-tempo-cristallo-lacrima
di un estremo margine di Dorsoduro.)
Sono due marmi semplici a ridosso del muro
dove spesso – e anche allora – una mano amante posa
il perfetto omaggio di una rosa,
così come ai Frari molte rose ringraziano
per il Vespro della Beata Vergine –
quasi a voler significare
ch’è forte l’amore come la morte
per quelli che lo sanno suscitare.
Giungemmo infine al sepolcro di Pound.
Ci colpì il confuso ammasso vegetale,
l’effetto surreale d’abbandono e di rigoglio
che la Natura inscena a ribadire il suo primato.
Al centro campeggiava un alloro prepotente.
È questo dunque l’esito – già tra me e me
cominciavo io – di una vita tragica e geniale…
Ma fui interrotto
dal buon senso eminentemente pratico
della donna che regge e governa il mondo:
rapida mia madre staccò
due foghe d’alloro lucenti
e con un gesto largo della mano
le pose in un anfratto della borsa.
Ricorda – mi disse – a casa ci attende il pesce.
Ne avrebbe fatto un pranzo magistrale,
purché ci fosse stato il prezioso aroma.
Tornanmmo in silenzio all’approdo presso la chiesa.
Non cresce più l’alloro. Fu tagliato anni dopo,
quando la Ruggi raggiunse Ezra Pound.
***
Sempre con un filo d’ironia col ricordo si rivà
alle carni candide e saporite delle spigole,
che per grazia dell’alloro avevano fatto loro
qualche atomo dei Cantos e del Trattato di Armonia
– e forse un’ombra di follia di un mondo alla sua fine.
Il senso scatta là, dove le cose
ultime riconoscono le prime.
Fu, in effetti, un pranzo memorabile.
III
Il poeta come Dafne mutato
in alloro trova vie inconsuete.
E forse sulla scena del teatro
immenso, lungo i sentieri segreti
che tramutano la polvere in vita
incessantemente, e la vita in polvere
nel cono di luce stretto dell’essere,
(disfatti noi in oblio, disunite
le cellule che – “io” – e – “noi” – e – “mai”
articolarono in sillabe e senso,
nel passato irrevocabile ormai
chiuso ogni tremito, ogni moto spento)
forse su quella scena di noi due
entro due corpi l’uno all’altro offerti
si riconosceranno due lacerti
e rivivranno nella loro luce.
Dolcemente, come dopo l’amore
le carezze che sanno il ritmo lento
delle maree per sciogliere il furore
della vetta, troverà compimento
alla salita che qui è senza meta
– nella gioia perfetta del discendere –
la sete di te che nulla disseta.
In due corpi dopo l’amore splende
l’esito necessario e impossibile.
***
Così sogno io, che vivo
di poca terra, di pochissima
acqua, aggrappato alla roccia
arida e bianca che il mare
morde con furia feroce
per lunghi mesi dell’anno
verde inappariscente
offerto alla sferza dei venti
al sale delle correnti
finché a giugno breve parentesi
venga la fioritura
un pianto giallo di gioia
un grido folle e puro.
È grazia inesprimibile
se prima che stinga e muoia
l’aria prospera di pollini
feconda altro futuro.
2 ottobre 2007: Sono ricomparsi tre giovani allori sulla tomba di Olga Rudge e di Ezra Pound. Josif Brodskij riposa a pochi metri di distanza.
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